Vialli e Mancini, gemelli del gol alla Samp. E quell'abbraccio a Wembley di due amici per sempre

Quell’abbraccio era l’Abbraccio: era l’11 luglio 2021, la sera di Wembley, la sera dell’Europeo di calcio

Vialli e Mancini, gemelli del gol alla Samp. E quell'abbraccio a Wembley di due amici per sempre
di Piero Mei
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Venerdì 6 Gennaio 2023, 11:56 - Ultimo aggiornamento: 8 Gennaio, 10:01

Quell’abbraccio era l’Abbraccio: era l’11 luglio 2021, la sera di Wembley, la sera dell’Europeo di calcio. “It’s coming home” dicevano gli inglesi, con quella spocchia da inventori del calcio che va contro la verità dei risultati: la coppa era loro prima di giocarla. Principi e principini nel palco reale certi di consegnarla ai loro boys. E invece venne a Roma, la Coppa: “It’s coming Rome”. I Royals filavano via all’inglese, come si dice quando qualcuno sgattaiola via senza farsi notare. I principi erano azzurri. Due in particolare: Roberto Mancini in maniche di camicia bianca e Gianluca Vialli in giaccone d’ordinanza da capo delegazione. Si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro, si strinsero forte e piansero. Di felicità e di angoscia. Agli abbracci erano abituati, ma quello della sera dei Campioni fu speciale. “Completo” l’ha definito Vialli: «C’era amore, amicizia, paura». «C’era - ha detto - il ricordo di Wembley, la vittoria inaspettata, la paura». Il ricordo di quell’altro Wembley era tristissimo: era il gol al minuto 112 della finale di Coppa dei Campioni, il 20 maggio 1992, quando un tiro di Koeman, in maglia blaugrana del Barcellona, condannò alla sconfitta nel sogno dei “monelli” in maglia blucerchiata della Samp, i ragazzi di Boskov, il genio che “rigore è quando arbitro fischia”.

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Vialli-Mancini, i gemelli del gol

Avevano i capelli lunghi, lisci quelli del Mancio, riccioli e neri quelli di Gianluca. Avevano vinto l’impossibile l’anno prima: lo scudetto con la Sampdoria. La prima volta a Wembley non si abbracciarono: caddero stremati sull’erba inglese come capita a quelli che perdono. Non sapevano, non pensavano che 29 anni dopo si sarebbero corsi incontro non più ragazzi ma uomini fatti, amici, fratelli, il Mancio con tra i capelli il grigio che non c’era, Vialli rasato dalla chemio. Perché nel frattempo avevano avuto vite divise e trionfali sportivamente, lontani fisicamente ma mai lontani.

Gianluca era invaso dal cancro: «E’ salito sul treno con me e io devo andare avanti sperando che questo ospite indesiderato si stanchi» ha detto. L’ospite non si è stancato. Ed ha posto fine a una vita movimentata dai successi, dagli amori, dalla Champions in maglia juventina, dagli scandali, dalla panchina del Chelsea, dalla convocazione in azzurro da parte del Mancio che ha voluto rifare quel tandem vincente, fino a quell’abbraccio del 2021 che tutto ha messo insieme. Solo loro hanno saputo, se l’hanno saputo, cosa è passato nella mente e nel cuore in quell’attimo che, come certi attimi indimenticabili, è stato eterno. Ce n’erano stati tanti altri di abbracci, «quando io gli passavo la palla e lui faceva gol», considerazione che può essere dell’uno come dell’altro. Erano stati compagni di squadra e distanza. Poi, ha raccontato Vialli, «lui ha voluto dormire da solo perché diceva che russavo: mi sa che non era vero, voleva svegliarsi di notte e mangiare». Erano due ragazzi del ’64 venuti su insieme, cresciuti calciatori e campioni, riuniti in quell’abbraccio che non finirà mai. Riposa in pace, Vialli.

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