Vialli, Giuseppe Giannini: «Leader sorridente e attaccante moderno, un signore del calcio»

«Lui e Mancio mi volevano portare a Genova. Ci hanno provato insistentemente, poi Luca ha scelto di trasferirsi a Londra, che è diventata la sua città».

Giuseppe Giannini: «Vialli? Leader sorridente e attaccante moderno, un signore del calcio»
di Alessandro Angeloni
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Sabato 7 Gennaio 2023, 01:52 - Ultimo aggiornamento: 11:04

Giannini, insomma, anche Vialli?

«Non è possibile, un disastro. Dopo Sinisa, anche lui. Periodo terribile».

Come lo ha saputo?

«Ero a un evento benefico allo Stadio dei Marmi. Un colpo al cuore, ma sapevamo. Ho guardato l’Olimpico, si immagini i ricordi...».

Una carriera intera.

«Anni meravigliosi. Noi cresciuti insieme. Lui, sempre con quel sorriso stampato e gli occhi luminosi. Luca era diverso, aveva una marcia in più».

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Un leader?

«Un leader.

Bastava una parola, un gesto. Un esempio nello spogliatoio, con i suoi guizzi, la sua intelligenza e poi, qualcosa nota a tutti, le sue doti tecniche, che lo hanno reso giocatore unico. Luca è stato determinante per la vittoria dell’ultimo Europeo, con il carisma, i consigli e con quel sentimento forte per la maglia azzurra, trasmesso ai più giovani, da calciatore e poi da dirigente».

Voi, stessa età, vi divide appena un mese, andati avanti a braccetto. 

«Luca era un amico, posso dirlo con serenità, siamo cresciuti insieme: in Under 21, poi nella Nazionale maggiore. Con Mancini e Zenga eravamo il quartetto degli “inseparabili”. Interminabili partite e tresette, io in coppia con Mancio, Luca con Walter, in quei lunghi ritiri vissuti con la gioia di stare insieme, di divertirsi giocando a calcio».

Chi era Vialli?

«Un signore del calcio. Elegante, ironico, spiritoso. Se l’Under di Vicini, che arrivò alla finale con la Spagna, per tutti era la squadra simpatia, il merito era soprattutto suo. Del suo carattere, sempre allegro, sempre pronto al dialogo, allo scherzo»

Un ricordo con Vialli?

«In Nazionale, dovevamo giocare un’amichevole. Campo in condizioni pessime. Io faccio lo sbruffone e dico: “oggi gioco con le scarpe da disegno, cioè nonostante il campo disegnerò calcio, come Toninho Cerezo, con i suoi scarpini di jeans”. Misi scarpe di gomma, sfidando il terreno impraticabile e le invettive di Luca che mi diceva: “Ma dove c... vai co’ quelle scarpe, scivoli. Non fare lo scemo”. Alla fine aveva ragione, non stavo in piedi e feci una figuraccia. Dovetti cambiare le scarpe alla fine del primo tempo. “Ne hai fatti pochi di disegni, prinicipe!», mi ha rinfacciato subito. E quella è stata una frase tormentone, che mi ha ripetuto centinaia di volte negli anni. Ogni volta mi ricordava quelle scarpe da “disegno”».

Che giocatore è stato?

«Ha anticipato il centravanti moderno. Un uomo che sapeva fare gol ma fu il primo a rendersi utile in fase difensiva. Aveva tecnica, forza fisica mostruosa. E’ stato la fortuna della Juve di Lippi».

E’ vero che poteva essere suo compagno alla Samp?

«Lui e Mancio mi volevano portare a Genova. Ci hanno provato insistentemente, poi Luca ha scelto di trasferirsi a Londra, che è diventata la sua città».

Era un campione?

«Assolutamente sì. Umile. Mai visto irridere un avversario, mai una parola fuori posto contro un allenatore».

Neppure con Vicini, che gli preferì Schillaci a Italia ‘90?

«Neppure. Quel Mondiale è stato un grande rimpianto per Luca, che veniva da un Europeo scoppiettante e dalle qualificazioni giocate da protagonista. Purtroppo ha sofferto troppo le pressioni ed è andata come andata».

Avete una chat con gli azzurri del ‘90?

«Sì e Luca era uno di quelli che ha scritto sempre. Fino a poco tempo fa. Senza mai accennare alle sue condizioni di salute».

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