Valeria Solarino: «Mi considerano una persona fredda. I figli? Non li ho mai voluti. Conti da saldare con mio fratello»

L’attrice, 44 anni, attualmente è sul set a Tarquinia per girare il film “Fanum”. «Amo il tennis, se avessi la bacchetta magica farei giocare Nadal per altri dieci anni»

Valeria Solarino: «I figli? Non li ho mai voluti. Non è mai stata una mia esigenza»
di Andrea Scarpa
7 Minuti di Lettura
Domenica 4 Giugno 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 13:36

Adora il tennis, Valeria Solarino. È un’istintiva. Non ha paura di esporsi sui temi caldi dell’attualità, anche se è timida (così dice) e passa per fredda e distante. Ha imparato ad aspettare. Da vent’anni è fra le attrici più apprezzate d’Italia, tant’è vero che negli ultimi tempi è stata in teatro con Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, al cinema con Quando di Walter Veltroni, sul web e in tv con le serie Bosè su Paramount+ e Rocco Schiavone su Rai2. In questi giorni è a Tarquinia per girare Fanum di Iris Gaeta, film in cui è un’archeologa anglo-italiana, grande esperta della civiltà etrusca, che torna nel suo paese per vendere la casa di famiglia dopo la morte della madre e finisce nei guai.


È una pallettara o una che gioca d’attacco?
«Da fondo campo. Adoro Nadal, però, che sotto rete ci va».


È da singolo o da doppio?
«Ho sempre paura di colpire il mio compagno: meglio se faccio da sola».


Pratica da tanto tempo?
«No. Una decina di anni, subito dopo essere stata folgorata da Open, la biografia di Agassi scritta da J. R. Moehringer (il giornalista del Los Angeles Times, premio Pulitzer nel 2000, che ha appena realizzato anche Spare del principe Harry, ndr). Di quel libro mi ha incuriosito l’aspetto mentale, che rasenta l’ossessione, del tennista. Così ho iniziato e per me adesso non c’è altro sport (Solarino da ragazza ha giocato a basket a livello agonistico, ndr). Mi piace la sfida con se stessi, la competizione, la concentrazione».


La sua ossessione qual è? Cosa la guida?
«L’istinto. Le mie scelte non sono mai frutto di un ragionamento, ma di passione. È stato così quando ho scelto di studiare filosofia o quando ho mollato l’università per imparare a recitare allo Stabile di Torino».


A quasi 45 anni - li compie il 4 novembre - a che punto è? Come si presenta?
«Sono un’attrice, o faccio l’attrice...».


Lo è o la fa?
«Non lo so. Di solito dico che faccio l’attrice perché è uno dei tanti colori che mi caratterizzano. E oggi, dopo tanti anni, posso dire che è il principale, cosa che prima non facevo perché avevo paura di non durare.

Ogni volta che finiva un progetto era ed è un dramma, solo che oggi ho imparato ad aspettare l’impegno successivo, o a costruirlo». 


Come il monologo “Gerico Innocenza Rosa”, che ha chiesto direttamente all’autrice e regista Luana Rondinella e ha da poco portato in teatro?
«Sì. È la storia di un uomo che diventa donna, ma è soprattutto il percorso sulla libertà di essere se stessi».


Lei ci riesce?
«Ogni tanto. Solo facendo questo spettacolo ho capito che l’identità è ciò che resta se uno si spoglia di tutte le sovrastrutture. In fondo, i compromessi che si fanno ci allontanano da quello che siamo veramente».


L’equivoco più ricorrente sul suo conto, allora, qual è?
«Passare per una persona fredda, che non dà confidenza. La verità è che sono solo molto timida».


Tempo fa si è rifiutata di girare una scena di sesso: per questo motivo?
«No. Era superflua, l’ho detto, e non l’ho fatta. Altre, anche più esplicite, le ho interpretate perché funzionali alla storia».


Visto il tema di “Gerico Innocenza Rosa”, se domani mattina si sveglia uomo qual è la prima cosa che fa?
«Cercherei di vedere il punto di vista femminile».


Andiamo... Tutto qui? Ci sopravvaluta.
«Ahahahah... (ride). Proprio per quello: per vedere, per una volta, il mondo femminile con altri occhi».

Nel film di Walter Veltroni è una suora, ma lei in realtà è atea: qual è il suo totem, il suo punto di riferimento?
«Chi ha il senso di comunità. Chi pensa anche agli altri. Chi lavora nel sociale con il volontariato».

Il suo mondo professionale, però, è composto quasi esclusivamente da egoriferiti, per non dire di peggio. 
«È vero. E fare network è difficile perché ognuno ha una sua storia e c’è tanta competizione che porta a stare uno contro l’altro, cosa per certi aspetti è anche sana perché se io faccio un provino voglio ovviamente superarlo...».


Ha amici veri nel suo ambiente?
«Qualcuno sì, certo».

 
Gli attori si dividono in...?
«Quelli che ci credono, in senso negativo, e quelli che hanno la misura delle cose. Per molti è difficile rimanere lucidi».


Lei ci ha creduto?
«Onestamente, no. Mai. Alla fine nessuno è indispensabile».


Lei fa parte dell’associazione Artisti 7607: che vuol dire e che cos’è?
«Non lo so. È un’associazione che tutela i diritti di immagine degli attori».


È una barricadera?
«No. Sono per il dialogo e non per le barricate: cerco di capire quello che succede intorno a me».


Politicamente è sempre stata a sinistra, e non ne ha mai fatto mistero, quindi non si sente rappresentata da questo governo: dal Pd di Elly Schlein sì?
«Mah. Vorrei una visione politica e sociale chiara. È vero che fra il peggio e il meno peggio a volte c’è un abisso, però vorrei sentirmi parte di qualcosa in cui credere davvero senza riserve».

Schlein non la convince, sbaglio?
«Il primo discorso da segretaria mi è piaciuto, vediamo il resto».


Vent’anni dopo aver debuttato con il film di Mimmo Calopresti “La felicità non costa niente”, la felicità è qualcosa che più o meno ha frequentato, sfiorato, visto da lontano?
«Sì, per fortuna. Ma forse avrei dovuto capirlo subito e non dopo».


Lei è nel cast dello spettacolo teatrale “Perfetti sconosciuti”, anche questo diretto da Paolo Genovese: anche la sua Sim Card custodisce qualche piccolo grande segreto?
«Certo, come tutti. Ma forse io non li ho nel telefono».


Com’è messa con le insicurezze?
«Bene, grazie. Ne ho di tutti i tipi». 


Quella che le pesa di più?
«Sentirmi perennemente a disagio con gli altri fino a quando non capisco di essere accettata».


Succede anche in scena?
«No, mai. Se lo sono, c’è qualcosa che non funziona». 


Ha conti da saldare con qualcuno?
«Con mio fratello. Lui è molto presente con me, e io lo sono molto meno con lui. Vorrei fare di più».


Perché non ha figli?
«Non li ho voluti. Non è mai stata una mia esigenza».


Ha ripreso a studiare Filosofia: per fare i conti con il passato?
«Per finire una cosa lasciata in sospeso. Mi mancano tre esami: che fatica...».


Come se l’è fatta la cicatrice sul naso?
«In La febbre rispondevo così: “Ho messo il naso dove non dovevo”».


E nella realtà?
«Non glielo dico e rispondo come nel film».


Se avesse la bacchetta magica - tipo Maga Magò - che farebbe?
«Una riforma scolastica con materie umanistiche per tutti, servizi sociali tipo pulire il parco, stare con gli anziani, aiutare gli orfani... Avremmo studenti e italiani diversi».


Oddio, un colpo di bibbidi-bobbidi-bu meno impegnativo, magari tutto suo?
«Rafa Nadal senza problemi fisici che gioca per altri dieci anni».


L’ha mai incontrato?
«Sì, per il mio compleanno. Mi ha regalato una sua maglietta».

La scheda

L’attrice Valeria Solarino è nata a Barcelona (Venezuela) il 4 novembre 1978, dove la famiglia del padre - d’origine siciliana - andò in cerca di lavoro Cresciuta a Torino, ha studiato Filosofia all’università (gli ultimi tre esami deve darli nei prossimi mesi) e recitazione alla Scuola dello Stabile. Il primo film è del 2003, “La felicità non costa niente” di Mimmo Calopresti. In seguito gira film di grande successo come “La febbre”, “Manuale d’amore”, “Smetto quando voglio”, “A casa tutti bene”. Al momento è sul set di "Fanum".

© RIPRODUZIONE RISERVATA