Vaccino, Lillo: «L’iniezione? Gesto civico. Green Pass nei luoghi pubblici. Sono stato in rianimazione con la polmonite. È stato spaventoso»

Vaccino, Lillo: «L iniezione? Gesto civico. Green Pass nei luoghi pubblici. Sono stato in rianimazione con la polmonite. È stato spaventoso»
di Ilaria Ravarino
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Lunedì 26 Luglio 2021, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 19:06

Al Festival di Giffoni, dove ieri ha incontrato i ragazzi ospiti della manifestazione, ci è andato da vaccinato «senza alcun dubbio in merito», con «mascherina, distanziamento, tamponi e prudenza», disposto - a domanda diretta - anche a difendere la “causa” del green pass. Per il comico di Lol, il conduttore e musicista romano Pasquale Petrolo in arte Lillo, che con il Covid lo scorso autunno ha avuto - a 58 anni - un incontro ravvicinato, pieno di paura e complicato dalla terapia intensiva, il green pass «non si può discutere. Così come sono pro-vaccino, sono anche pro-green pass. È una cosa molto semplice da capire e da attuare: se entri in un luogo pubblico, devi poter dimostrare che stai tutelando anche il prossimo. Punto. È una cosa semplicemente fondamentale e non vedo come lo si possa screditare».

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Vaccino, Lillo: «L’iniezione? Gesto civico. Green Pass nei luoghi pubblici»

Lillo è convinto che vaccino e green pass siano decisivi anche per la ripartenza di tutti i settori economici e fondamentali per cinema, musica e teatro.

Di fronte a chi lamenta una presunta riduzione della libertà personale, come i manifestanti in piazza contro la cosiddetta “dittatura” del green pass, Lillo scuote la testa e si oppone: «Non c’è un obbligo. Magari può sembrare un obbligo. O meglio: davvero rispettare la salute propria e quella degli altri è vissuta come un obbligo? Quello che la gente non capisce è che il vaccino, e misure indispensabili di tutela come il green pass, sono gli unici modi per contrastare il Covid. Non esistono alternative: non è che si può dire “io non li voglio, datemi un’altra opzione”. Questa soluzione non piace? Pazienza, è l’unica che c’è. Vaccinarci tutti e tutelarci, anche per difendere chi per davvero non può proteggersi con una iniezione, magari perché ha dei problemi concreti di salute».

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Sul fatto che anche i vaccinati possano farsi portatori del virus, e che dunque il green pass non garantisca la completa certezza sulla “neutralità” dell’ambiente, Lillo non lo ritiene un motivo sufficiente per opporsi a un documento «che permette alle persone di sentirsi protette in un luogo chiuso o durante gli spostamenti. I vaccinati che contraggono il virus sono pochi: in ogni caso, tracciare il contagio è sempre indispensabile». L’avventura dell’artista con la malattia, contratta «in modo banale», semplicemente abbassandosi la mascherina per respirare dopo l’estate, ha segnato profondamente il suo rapporto con le misure di sicurezza, che oggi rispetta con scrupolo e attenzione. «Sono stato molto male. Mi hanno portato in terapia intensiva, per fortuna non mi hanno messo il casco né mi hanno intubato, ma per quattro giorni sono stato lì da solo e non è stato bello. Poi il Covid l’ha preso anche mia moglie, per fortuna in modo meno violento di me. Io me la sono cavata, ma la situazione poteva precipitare in ogni momento. Ho avuto la polmonite interstiziale, è stato spaventoso e doloroso».

IN OSPEDALE

 Il green pass, tra le altre cose, potrà permettere a chi è ricoverato negli ospedali di ricevere visite, per non trascorrere la degenza da soli: per Lillo, nei giorni di terapia intensiva, il telefonino è stato «fondamentale» per le videochiamate con la moglie Tiziana e i messaggi di auguri degli amici e dei fan. «Sarei impazzito da solo». Per questo, «oggi non capisco davvero chi non vuole vaccinarsi e chi dice no al green pass perché senza, magari, non potrà andare a ballare in discoteca. Vorrei dire ad alta voce, vorrei ricordare anche ai ragazzi che fuori e dentro le discoteche, tutto intorno a noi, c’è una emergenza mondiale. Non è una questione di scelta. È una guerra, forse non tutti hanno capito bene che cosa stiamo vivendo. Molti, ne sono convinto, sottovalutano che si tratta di un’emergenza grave, che non è ancora finita». Ma come convincere le persone a superare la diffidenza, o l’egoismo, è la questione aperta che rimane sul tavolo: «Naturalmente io non auguro a nessuno di provare quello che è successo a me, così come a tanti altri malati di Covid. Però trovo sconfortante che la gente capisca per davvero la portata della malattia solo quando viene toccata in prima persona. Non rendersene conto significa aver perso completamente una qualità fondamentale della persona e del cittadino: il senso civico». 

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