Sergio Caputo: «Sanremo? Oggi Amadeus si basa sui cantanti: talent, vecchie glorie, e qualcuno di bizzarro»

Ad Aprile uscirà un'edizione celebrativa dell'album (anche in vinile) e Sergio Caputo riporterà sul palco quei brani con alcuni concerti-evento

Sergio Caputo: «Sanremo? Oggi Amadeus si basa sui cantanti: talent, vecchie glorie, e qualcuno di bizzarro»
di Emilio Targia
5 Minuti di Lettura
Martedì 25 Aprile 2023, 08:45

E sembra un sabato qualunque, ma è un sabato italiano, il peggio sembra essere passato Mezza Italia mandò a memoria la title-track (e non solo) di uno degli album più effervescenti ed originali degli anni '80, Un sabato italiano, uscito ad aprile del 1983, etichetta CGD, produzione Nanni Ricordi. Dieci pezzi ad energia swing con testi che risucchiavano dentro i colori delle notti romane e i suoi bizzarri personaggi (la notte è un dirigibile che ti porta via, lontano). Ad Aprile uscirà un'edizione celebrativa dell'album (anche in vinile) e Sergio Caputo riporterà sul palco quei brani con alcuni concerti-evento.

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Si è sentito schiacciato allora dal clamoroso successo di quel disco?
«In realtà mi sono poi trovato a fare il secondo album quasi senza accorgermene. Ricordo che mi chiamò la CGD ricordandomi che avevo firmato un contratto per 5 dischi in 5 anni. Ah, risposi. E allora mi rimisi a scrivere quasi proseguendo con quel "flusso" di brani che aveva prodotto il disco precedente. Così il primo si è riversato nel secondo, poi nel terzo, e così via. Solo che dopo il primo mi sentivo un po' in trappola.

La gente mi aveva identificato con lo swing mentre io ero un musicista più composito. E per reazione ho poi esplorato altre strade, è stata la mia salvezza».


Ma quel disco lo ha comunque reinventato già 10 anni fa
«Sì l'ho voluto classicizzare e l'ho fatto come avrei dovuto farlo la prima volta. Con una proprietà di linguaggio musicale che viene solo con l'esperienza. Pensa che per tanti anni l'album originale non riuscivo più ad ascoltarlo per quei suoni anni '80 che tempo dopo mi parevano superati. Quell'album risentiva del fatto che per mancanza di esperienza non avevo pensato ad utilizzare musicisti jazz, gente come Rea, Gatto, Giammarco, che andavo a sentire spesso nei locali».

 


Come ha fatto a reggere una vita in cui di giorno lavorava da pubblicitario in agenzia e di notte da musicista?
«Avevo 29 anni. Oggi non potrei più. Ora mi sveglio molto presto, e quando mi alzo uso subito il tempo della mattina per scrivere musica».

Che musica ascoltano i suoi figli?
«Beatles, Presley, Rolling Stones. La musica bella non ha tempo. È per sempre. Ed evidentemente lo è anche per loro».


Dopo l'album "I love jazz" del 1996 per alcuni anni è rimasto assente dalle scene italiane... Cosa accadde?
«Mi sono trasferito negli Usa e a un certo punto ho pensato di rimanerci per sempre. E a quel punto ho cercato di "ricostruire" lì la mia carriera, ricominciando dalla chitarra. Mi sono rimesso in gioco e ho suonato in alcuni locali "sacri" del Jazz in California come Enrico's o Top of the Mark, dove mi esibivo una volta a settimana. That Kind of Thing, il mio album strumentale, andò bene in radio, quindi più che "sparire" dalla scena italiana sono apparso su quella americana. Arrivai nella top 30 Usa per il genere smooth-jazz, molto amato negli Usa, un Jazz più "libero". Anche Miles Davis ha fatto smooth-jazz».


Poi, nel 2003, fu grazie a Giorgio Panariello che tornò ad apparire sui palchi italiani
«Sì, fu lui ad insistere molto per avermi nel suo show tv del sabato sera, e quei passaggi mi consentirono di ricominciare a calcare le scene in Italia, trovare un nuovo promoter e riprendere il percorso dei live e di nuovi album. Dopo l'esperienza americana mi ritrovavo molto più maturo».


Cosa resterà di quegli anni 80?
«Tutto. Sting, Sade, Tears for Fears, Working Week, Billy Joel, Bronski Beat, Eurythmics, Everything but the Girl e tanto altro».


Cosa pensa dell'uso dell'intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie in ambito musicale?
«Nulla può sostituire la creatività del cervello umano. E l'IA "vive" sempre delle cose che inseriscono lì dentro gli esseri umani. Il pc da solo non può fare nulla».


E della musica in streaming cosa pensa?
«È la morte del diritto d'autore, un patrimonio prezioso che invece va tutelato».


C'è un forte ritorno all'uso dei dischi in vinile
«Musica analogica e non digitale. Ma il problema è che tutti quegli "artigiani" che in fase di masterizzazione sapevano con sapienza trasferire le registrazioni dal nastro alla lacca, oggi non ci sono più. E per quei pochi che ci sono devi metterti in fila»


"La radio mi pugnala con il festival dei fiori", canta in "Un Sabato italiano"
«Se io fabbricassi trattori andrei alla fiera dei trattori per piazzarli. Logico che ogni tanto proponga i miei brani al Festival. Ma finora senza esito. Potrei farci un album intero. So che Amadeus mi stima, abbiamo fatto delle cose insieme. Ma credo che oggi il casting del Festival si basi sui cantanti, non sulle canzoni. Devi prendere un po' di nomi dai talent, un po' di vecchie glorie, e qualcuno bizzarro».


Come erano i sabato sera degli italiani di 40 anni fa?
«Come quelli di oggi. Solo che non avevamo le tecnologie. Quindi se andando per locali capitava che non ti trovavi con gli amici, anziché chiamare, ti incamminavi altrove. Questo creava una movida molto più briosa e vivace».


E i suoi anni di liceo a Roma come furono invece?
«Ho cambiato tante scuole. Ma la scuola per me è stata la più grande perdita di tempo della mia vita. Se potessi tornare indietro la salterei, io già leggevo Camus, Pasolini, Moravia, e gli insegnanti erano un po' infastiditi da queste mie letture precoci»


"Un sabato italiano" lo sta celebrando anche dal vivo con alcuni live molto speciali
«Pensavo al fatto che una volta si faceva il tour per promuovere il disco, oggi invece si fa il contrario. Le case discografiche "brandizzano" i loro artisti producendo cose che venderanno poco, ma saranno utili per i live. Noi saremo sul palco con una big-band - fiati, pianoforte, cori - il 26 aprile all'Auditorium Parco della Musica di Roma, il 28 al teatro Arcadia di Napoli».

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