Rugby, dalla fuga dalla dittatura di Mugabe nello Zimbabwe alla nazionale dell'Italia: la storia di Sebastian Luke Negri da Oleggio

Dalla fuga dalla dittutura di Mugabe in Zimbabwe alla nazionale di rugby dell'Italia: la storia di Sebastian Luke Negri da Oleggio
di Paolo Ricci Bitti
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Giovedì 3 Febbraio 2022, 11:42 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 02:40

Dalla fuga dallo Zimbabwe, bambino incalzato dalla truppe del dittatore Mugabe che hanno messo a ferro e fuoco la fattoria di famiglia, alla nazionale di rugby dell'Italia nel Sei Nazioni: la storia di Sebastian Luke Negri da Oleggio. Video e immagini da RugbyPass. La storia di "Seb" fa parte del documentario:  "Facing Goliath - A documentary following Italy as they take on the mighty All Blacks", realizzato sempre da RugbyPass con la collaborazione della Fir, diffuso alla vigilia della 128a edizione del Torneo che per l'Italia inizierà domenica 6 febbraio alle 16 a Parigi contro la Francia (diretta SkySport Uno e Tv8).

Paolo Ricci Bitti

Il bambino sorride e fa il saluto militare, una cartuccera a tracolla.

Cartuccera vera, munizioni calibro 12, affidatagli dal papà piemontese Janusz mentre lì attorno i soldati del dittatore Robert Mugabe impugnavano i Kalashnikov per scacciare a forza di raffiche i bianchi dalle loro abitazioni. Un modo per esorcizzare la paura, quella dotazione a bandoliera che per fortuna il piccolo con la frangetta non dovrà mai utilizzare. 

Di lì a poco la fattoria della famiglia Negri di Oleggio, a Marondera, sud est di Harare (ex Salisbury) nello Zimbabwe (ex Rhodesia del sud), sarà a messa a ferro e fuoco dalle truppe del despota costringendo Sebastian, futuro azzurro del rugby, il papà, la mamma anglo-zimbabwuana Diana, i fratelli Thomas e Josh e la sorella Daniella a fuggire oltrefrontiera per 1.600 chilometri fino a Durban, in Sudafrica, dove ripartire da zero con gli abiti che avevano addosso e poco altro. "Seb", all'epoca, doveva ancora compiere 10 anni. 

A "Seb", oggi un gigante 27enne senza paura che parla sempre con un tono basso e gentile, brillano gli occhi quando ricorda dei suoi anni da bambino nella fattoria, il bestiame da governare, le escursioni con i fratelli nel bush, gli orizzonti infiniti dell'Africa. Adesso si racconta in un ampio spezzone del bel documentario prodotto dal sito inglese RugbyPass sull'Italia che nel novembre scorso si apprestava ad affrontare il Golia del rugby, gli All Blacks. 

Dalla gioia di quella vita sempre all'aperto alla malinconia mentre sotto gli occhi dell'azzurro scorrono i filmati della fattoria in fiamme, degli scheletri anneriti della casa in cui era cresciuto, dei compagni di gioco finiti chissà dove.

L'azienda agricola dei Negri, conti del borgo medievale turrito di Oleggio (Novara), messa in piedi con piglio piemontese da due generazioni, era stata incenerita e così i loro conti correnti: per comprare un dollaro americano servivano 250 miliardi di dollari dello Zimbabwe. Effetto del tracollo economico del paese - indipendente dal Regno Unito dal 1965 con Ian Smith -  causato dalla sanguinaria utopia socialista di Mugabe, prima vittima del regime di stampo coloniale, poi dittatore "a vita" alla guida di un regime ancora peggiore.

Il 70% delle terre della "repubblica" (dal 1979) apparteneva ai bianchi che puntellavano una delle economie più floride dell'Africa, ma la rivolta armata di Mugabe aveva spazzato con la guerra civile la via diplomatica di Joshua Nkomo che puntava alla convivenza di tutti i 6 milioni di abitanti.

La “caccia al bianco” avveniva mentre le carestie si susseguivano a catena, devastanti, e dopo l'esproprio armato dei latifondi l'ex Rhodesia crollò senza riprendersi più, con Mugabe che ha continuato a fare pesare la propria influenza fino alla morte nel 2019. La maggior parte degli agricoltori e allevatori bianchi da tempo era nel frattempo fuggita altrove, in prevalenza in Sudafrica. Non tutti però, riuscirono a salvare la pelle in quegli anni terribili. La voce di "Seb" scende di un'altra ottava mentre ricorda la fuga a Durban, la paura davanti all'avanzare dei soldati, le notizie via radio delle altre fattorie in fiamme, la lunga corsa con il bakkie (furgone pick up) con qualche pezzo di biltong (carne secca) in tasca. 

Dall'arrivo in Sudafrica, la storia di Sebastian, dal punto di vista ovale, è abbastanza simile a quella di tanti altri ragazzoni ben piantati che si sono fatti le ossa a sud del Limpopo prima di sbarcare in Europa in nome del rugby. Lui che aveva imparato a placcare fin da bambino alla Springvale House School nello Zimbabwe, si mette in luce a Durban nella Clifton Nottingham School e all'Hilton College. A 18 anni è nell'accademia degli Sharks, ma poi accetta di trasferirsi al sud alla Western Province con la quale assaggia alcuni match della durissima Currie Cup. Dal primo ruolo da adolescente all'apertura è passato ben presto fra i omoni della mischia: seconda o terza linea, alla bisogna, con i suo 108 kg di muscoli che si fanno sentire negli impatti. La linea del vantaggio, lui, la guadagna sempre. E ha pure ottime mani: forza, tecnica e voglia di lottare su ogni pallone.

Per nostra fortuna lo nota l'ex azzurro Roland de Marigny, sudafricano, che lo mette su un aereo per l'Italia con i documenti che provano la sua origine italiana attraverso il papà piemontese. Anche l'allenatore Gianluca Guidi aveva dato la sua benedizione: il talento era potente in quel ragazzo già alto quasi due metri.

In famiglia a Durban fanno festa: amano il rugby, la mamma è anche madrina di David Denton, poi approdato alla Scozia.  Brindano pure a Milano i tanti parenti della famiglia Negri da Oleggio. "Seb" giocherà 9 volte per l'under 20 italiana, compresi i Mondiali "B" in Cile (vinti dall'Italia),  prima di debuttare fra i grandi nel 2016 contro gli Usa, il primo dei suoi 36 caps (presenze) che comprendono anche i Mondiali in Giappone nel 2019. Nel frattempo è andato a studiare in Inghilterra, all'Hartpury College, nel Gloucestershire, felice ambiente accademico e sportivo da cui vengono anche gli azzurri Jake Polledri e Stephen Varney.  Ed è la Benetton Treviso che non si fa scappare l'azzurro non appena "Seb" ha terminato gli studi ad Hartpury. 

E' impressionante la differenza fra l'aggressività in campo di questo colosso e i suoi modi gentili "fuori": un giovane bene educato, con fidanzata fissa e pronto a mettere i suoi contratti di giocatore professionista nelle mani del fratello maggiore Thomas (Prosport). Per Sebastian la famiglia è tutto e, no, i genitori non gli hanno insegnato a porgere l'altra guancia in campo, ma per il resto valgono l'etichetta e la cortesia. Al punto da accettare subito le scuse di una leggenda francese quale Mathieu Bastareaud che in un match di coppa gli aveva rivolto ingiurie omofobe. Ingiurie? Che cosa volete che siano per un ex bambino fuggito dalla dittatura di Mugabe.

Ed è per questo che si resta in silenzio ad ascoltarlo nel docufilm mentre racconta «dell'orgoglio di portare la maglia azzurra per onorare le origini italiane della sua famiglia, un'origine sempre sentita nella vita di tutti giorni anche durante i peggiori momenti della nostra storia. Vedere papà così commosso quando gioco per l'Italia mi dà una carica enorme e sento di dovere ripagare in ogni istante questo sostegno e i sacrifici che lui e mamma hanno fatto per me e i miei fratelli». 

 

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