Rudolf Nureyev, trent'anni senza il "tartaro volante" che rivoluzionò la danza

Rudolf Nureyev, trent'anni senza il "tartaro volante" che rivoluzionò la danza
di Riccardo De Palo
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Giovedì 5 Gennaio 2023, 18:19

Senza di lui, la danza non sarebbe stata la stessa. Il balletto classico e quello moderno sarebbero rimasti incompatibili, non ci sarebbero stati fenomeni pop come Roberto Bolle - il cui show la sera di Capodanno su Rai1 è stato visto da quasi tre milioni di spettatori - e forse anche Maurice Béjart non avrebbe creato coreografie così centrate sul corpo e sulle movenze maschili. Parliamo del grande danzatore russo Rudolf Nureyev, di cui ricorreranno domani i trent'anni dalla morte.

Un personaggio da romanzo

Era un vero personaggio da romanzo. La coreografa americana Martha Graham aveva visto nel giusto, e gli aveva assegnato il ruolo di Lucifero in un balletto che costituì una delle sue prime incursioni nel contemporaneo. Ma procediamo con ordine. Colui che sarebbe diventato, per tutto il mondo, il tartaro volante, nasce il 17 marzo del 1938, a bordo di un vagone della Transiberiana, dalle parti di Irkutsk. Sua madre Farida stava viaggiando con i figli verso Vladivostok, nell'estremo Oriente russo, dove era stato assegnato il padre Khamet, commissario politico dell'Armata rossa.


Freudianamente, Nureyev costruì tutta la sua carriera sulla ribellione contro il genitore. Julie Kavanagh, nella monumentale biografia a lui dedicata, Nureyev, la vita, ricorda che «Rudolf si ostinò a dire che odiava suo padre. Lo definiva uno stalinista, cosa che effettivamente era, ma così come sua madre, e in quel periodo quasi tutti i russi». L'unica e vera ragione, alla base del suo rancore, era che Khamet si rifiutava di accettare che il figlio danzasse.


Il piccolo Rudolf a dieci anni mostrava già un innato istinto musicale. Molto tempo dopo, disse di ricordare con nostalgia i solenni lutti di Stato dell'Urss, che erano un'occasione imperdibile per ascoltare, con la mastodontica radio sovietica che si trovava in casa, le composizioni di Schumann, di Beethoven, di Cajkovskij. «Mi ricordo che piangevo, ma non certo perché mi dispiacesse della morte di Kalinin o di Stalin, ma perché ascoltavo quella musica bellissima».


Nel dopoguerra, Nureyev frequentò le prime scuole di danza, e si racconta che, quando partiva per raggiungere il Teatro dell'Opera di Ufa, dove seguiva dei corsi con un'allieva del grande Djaghilev, veniva puntualmente molestato dal capotreno. La prima grande occasione, per lui, arrivò nel 1954, quando la sua insegnante, Anna Udelcova, convinse il ragazzo, ormai diciassettenne, a iscriversi all'Accademia di danza del Teatro Kirov di Leningrado, l'odierna San Pietroburgo.


La seconda grande occasione arrivò nel 1961, quando il primo ballerino del Kirov si infortunò e gli proposero di partire al posto suo, per uno spettacolo in programma all'Opéra di Parigi. Fu un trionfo. Ma poco prima di lasciare la capitale francese per Londra, gli agenti del Kgb - che seguivano ovunque le star russe - gli chiesero di tornare in patria per un'importante esibizione al Cremlino, mentre gli altri avrebbero proseguito la tournée come previsto. Rudolf fiutò la trappola, e si consegnò direttamente agli agenti francesi in aeroporto, chiedendo asilo politico.
Nureyev non rivide più la sua patria per tantissimo tempo (fino al disgelo e al permesso concessogli da Gorbaciov nel 1987), e per lui si aprì una nuova vita in Occidente.

La fuga gli procurò un'inattesa e fulminea notorietà; e il suo talento gli aprì le porte di tutti i teatri globali.

L'amore che muove il mondo

Nureyev danzò assieme a Margot Fonteyn, sul palco del Covent Garden di Londra. Con il Royal Ballet girò il mondo, diventando sempre più celebre e ricercato dal pubblico. L'amore della sua vita, il danzatore Erik Bruhn, lo conobbe nel 1968, durante una tournée. Fu lui, di dieci anni più vecchio, a proteggerlo dalle sue intemperanze, dalle sue stesse follie. Nureyev frequentava personaggi come Jacqueline Kennedy, Maria Callas, Nastassja Kinski, Mick Jagger, Liza Minnelli, Gore Vidal, Franco Zeffirelli, Andy Warhol. Nel 1976 impersonò persino il ruolo di Rodolfo Valentino, in un film di Ken Russell. Nonostante il suo temperamento - quando non era soddisfatto delle ballerine le lasciava letteralmente cadere per terra - continuò a danzare anche oltre i quarant'anni, sperimentando coreografie e dirigendo qualche orchestra. A Carla Fracci non riservava dispetti: era legato a lei da profonda stima e amicizia.


L'Aids aveva già ucciso nel 1991 il suo caro amico Freddie Mercury, una morte che l'aveva colpito tantissimo. Nureyev, a sua volta contagiato dall'Hiv, cercò a lungo di dissimulare i sintomi, di resistere al decadimento fisico, finché il suo cuore cedette, il 6 gennaio del 1993. Aveva 54 anni. Oggi la Fondazione istituita in suo nome ha l'obiettivo di sostenere la ricerca sull'Aids e i danzatori, sempre e comunque. «La danza è tutta la mia vita - disse Nureyev, ripercorrendo le tappe della sua carriera - esiste in me una predestinazione che non tutti hanno. Devo portare fino in fondo questo destino. È la mia condanna, forse, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare, risponderei: quando smetterò di vivere». E così è stato.
 

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