Duecento anni di Pellegrino Artusi, l'uomo che mise l'Italia in cucina

Duecento anni di Pellegrino Artusi, l'uomo che mise l'Italia in cucina
di Carlo Ottaviano
5 Minuti di Lettura
Martedì 4 Agosto 2020, 13:11
Duecento anni – il 4 agosto – e non sentirli. Pellegrino Artusi sopravvive indenne anche dall’ultima moda di abbattere le statue di chi in vita non è stato politically correct. Per il suo anniversario, si organizzano invece eventi (i più importanti fino al 10 agosto e poi in ottobre nella natia Forlimpopoli in Romagna e in autunno a Parigi) nonostante inizialmente si rivolgesse solo - per sua stessa ammissione – «alle classi agiate», relegasse le donne in cucina, discriminasse i vegetariani e addirittura suggerisse di cucinare cibi oggi proibiti o che nessuno proporrebbe, come – ma è solo un esempio tra tanti - «il budino di cervello di maiale … atto ad appagare il gusto delicato delle signore».

Ma gli (eventuali) torti sono poca cosa rispetto all’aver contribuito a creare l’identità italiana. Massimo d’Azeglio nel dire nel 1861 che l’Italia era fatta ma che restavano da fare gli italiani, certamente non pensava che l’unificazione sarebbe passata anche dalle cucine. Fatto sta che “l’Artusi”, come è semplicemente chiamato il fondamentale “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, ha contribuito al processo di identità nazionale al pari dei capolavori di Collodi, de Amicis o Manzoni. Anzi di più, stando allo studioso Piero Camporesi (sono editi dal Saggiatore i suoi scritti), secondo cui «i gustemi artusiani sono riusciti a creare un codice di identificazione nazionale là dove fallirono gli stilemi e i fonemi manzoniani. Ciò si capisce, anche perché non tutti leggono mentre tutti, al contrario, mangiano. Nel caso poi del successo artusiano la cosa è ancora più educativa perché si mangia ciò che prima si è letto».

In ogni caso, l’Artusi è tra i libri più ristampati di sempre, accanto al Pinocchio, a Cuore e ai Promessi sposi (tutti però obbligatori a scuola). Best seller inatteso, perché l’autore solo a 71 anni di vita e a proprie spese riuscì a pubblicare la prima edizione, non trovando alcun editore ed essendo ben di là da venire l’odierna (inarrestabile?) ondata di spadellatori televisivi, maître à penser dei fornelli, insomma cuochi d’artificio. Il «manuale pratico per famiglie», come recita il sottotitolo, è stato insostituibile strumento di lavoro anche per generazioni di cuochi, tanto da far credere che l’autore fosse un grande chef, quando invece era solo un goloso gourmet (oggi si direbbe foodie).

L'Artusi parla giapponese, tradotto lo storico manuale di cucina

Lui stesso temeva il rischio che «mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore» tant’è che nella trentacinquesima edizione, ormai quasi 91enne (l’età della morte), mise le mani avanti: «protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l'una né l'altra cosa. Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen». Aveva aperto quella «prefazio», come si diceva allora, scrivendo che «la cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria». E aggiungeva, quasi avesse davanti le migliaia di ricettari inutili dei (testuale) «cuochi da baldacchino» di oggi: «Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: sono la maggior parte fallaci o incomprensibili. … Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace».



Non era un cuoco, né sapeva spignattare. Perché allora pubblicò quel grosso tomo di ricette? Presto detto, premettendo che dalla natia Forlimpopoli la sua famiglia si era trasferita a Firenze a seguito del drammatico episodio che aveva visto vittime le due sorelle, violentate dal brigante Passiatore, non pago di aver rubato e saccheggiato ogni prezioso nella casa. La Toscana – dove gli Artusi si trasferirono già la mattina dopo - era stata considerata ben più tranquilla. E qui Pellegrino fece prima la vita del giovin signore e poi dell'attempato scapolone tombeur de femmes. Di lavorare neanche a parlarne (la ricchezza proveniva dal padre, commerciante di sete) e negli incontri ai circoli del Lungarno o passando le acque alle Terme a Montecatini non faceva altro che parlare di straordinarie pietanze. Gli amici – invidiosi - pretendevano gli stessi manicaretti dalle mogli, e queste – giustamente - chiedevano le ricette.

Così Artusi finì per trascrive un migliaio di ricette provate nel corso dei precedenti 26 anni con la fida governante pisana Marietta Sabatini e il cuoco romagnolo Francesco Ruffilli (ai quali – morendo nel 1911 - lascerà in eredità i generosi diritti d’autore). Un successo strepitoso: quattromila copie vendute per corrispondenza col meccanismo – 150 anni prima! - dell’odierno direct marketing (e pure precursore delle attuali food community grazie al contatto con i lettori che gli inviarono suggerimenti, osservazioni e altre ricette che inserirà nelle edizioni successive). Siamo ai tempi dell’industrializzazione d’Italia, dello sviluppo di molte città e il ricettario svela alle giovani spose la cucina e gli ingredienti non solo delle campagne che stanno abbandonando. Lo fa in modo chiaro e con una lingua nazionale senza fronzoli, diventando spesso il primo e unico libro di chi esce dall’analfabetismo. Offre aneddoti e curiosità su origini, luoghi e tradizioni, facendo così scoprire il burro ai terroni, i maccheroni ai polentoni. Insomma, a ragion veduta un padre della patria, seppure combattendo in cucina.

DUE RICETTE

Spaghetti colle acciughe
Per minestra di magro è appetitosa. Prendete spaghetti mezzani che sono da preferirsi a quelle corde da contrabbasso, eccellenti per gli stomachi degli spaccalegne. Grammi 350 sono piú che sufficienti per quattro persone di pasto ordinario, e per questa quantità bastano cinque acciughe.
Lavatele, nettatele bene dalle spine e dalle lische, tritatele alquanto colla lunetta e ponetele al fuoco con olio buone in abbondanza e una presa di pepe. Non le fate bollire, ma quando cominciano a scaldarsi aggiungete grammi 50 di burro, un poco di sugo di pomodoro o conserva e levatele. Condite con questo intingolo gli spaghetti cotti in acqua poco salata, procurando che restino durettini.


Crocchette di riso semplici
Latte, mezzo litro. Riso, grammi 100. Burro, grammi 20. Parmigiano grattato, grammi 20. Uova, n. 2.
Cuocete molto sodo il riso nel latte e a mezza cottura aggiungete il burro e salatelo. Levatelo dal fuoco, versateci il parmigiano e così a bollore scocciateci dentro un uovo mescolando subito per incorporarlo. Quando sarà ben diaccio prendetelo su cucchiaiate ed involtatelo nel pangrattato dandogli forma cilindrica; con questa dose otterrete dodici crocchette. Frullate l’uovo rimasto, gettateci dentro le crocchette a una a una, involtatele di nuovo nel pangrattato e friggetele.
Si possono servir sole; ma meglio accompagnate con altra qualità di fritto.
 
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