Calisto Tanzi, ascesa e crac del signor Parmalat

L'imprenditore morto a 83 anni era ai domiciliari dopo la condanna per il fallimento del suo impero. Una parabola segnata dai rapporti con la politica. E un finale (l'operazione Lactalis) che solleva dubbi

Calisto Tanzi, ascesa e crac del signor Parmalat
di Osvaldo De Paolini
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Domenica 2 Gennaio 2022, 09:29 - Ultimo aggiornamento: 15:51

Non si è mai capito se la sua vicinanza al multiforme mondo della Democrazia Cristiana fosse vera passione per la politica o solo una frequentazione strumentale, ancorché particolarmente assidua. In ogni caso, la storia di Parmalat e di Calisto Tanzi può essere letta come un paradigma della storia italiana: la dipendenza dalla politica, anzitutto. Non si comprenderebbe altrimenti la scelta dell'imprenditore, negli anni Ottanta, di aprire uno stabilimento a Nusco, patria dell'allora segretario della DC, Ciriaco De Mita, con un impianto diviso dalla rete autostradale da una cinquantina di chilometri di strade comunali e provinciali. Come non sembra ispirato alla sola ambizione imprenditoriale l'acquisto nel 1999 della società Eurolat dalla Cirio al prezzo esorbitante di oltre 700 miliardi di lire (350 milioni di euro), per consentire a Sergio Cragnotti di rientrare del debito con la Banca di Roma. Uno schema che, secondo gli inquirenti, si sarebbe ripetuto con identiche anomalie anche quando nel 2002 Tanzi decide di comprare le acque minerali da Giuseppe Ciarrapico. Per non dire di altre attività acquisite senza una ragione industriale apparente, come nel caso di Odeon Tv; oppure come la mastodontica costruzione di Parmatour, una dispendiosa attività nel settore del turismo che negli anni ha bruciato quasi 2mila miliardi di lire (1 miliardo di euro) e che fu probabilmente la causa più profonda delle sue disavventure finanziario-giudiziarie.

UN FINALE STRANO

Non che l'uomo non avesse visione industriale, tutt'altro.

Non si contano le idee scaturite dal suo team per lanciare, anche grazie a sponsorizzazioni particolarmente efficaci, il valore del latte nel mondo. Anzi, si può dire che con il brand Parmalat, Tanzi ha dato un nome universale al latte, tanti erano i paesi nei quali si vendevano i prodotti che recavano quel marchio. Per averne idea basta scorrere l'ultimo bilancio del gruppo prima del crac, quello relativo al 2002, che fornisce una fotografia verosimile del valore industriale dell'azienda: 7,6 miliardi di ricavi (per quasi il 60% latte), 139 impianti disseminati nel mondo e poco meno di 40 mila dipendenti. Ma già allora la crepa del debito era diventata una voragine: quasi 5,5 miliardi gli impegni dichiarati verso banche e fornitori, ai quali se ne sarebbero aggiunti molti altri emersi durante le indagini.

 


È però nel 2003 che la verità irrompe nella realtà. La Consob si muove e il castello di carta eretto da Tanzi e dal direttore finanziario Fausto Tonna crolla. Quindi gli arresti, un manager che si toglie la vita lasciando la moglie e due figli, la scoperta di una frode ai limiti della fantafinanza e montagne di denaro iscritto in bilancio ma inesistente, come i quasi 4 miliardi della controllata Bonlat. Alla fine il crac sarà quantificato dai pm, e ratificato nelle sentenze di condanna, in 14 miliardi: poco meno di un punto di Pil italiano.
Una cifra enorme, che però ancora oggi solleva dubbi perché c'è chi sostiene che quel numero rappresenti in realtà il debito lordo, dal quale vanno sottratte le attività recuperate (non meno di 2 miliardi solo dalle revocatorie e dalle azioni risarcitorie presso le banche che avevano finanziato il gruppo con un occhio troppo benevolo) nel corso della gestione commissariale guidata da Enrico Bondi. Basti dire che gli stessi uffici di Mediobanca, l'istituto di Piazzetta Cuccia che nelle vicende di Tanzi ha avuto più volte parte attiva, riducono la voragine a circa 4 miliardi di euro.


La stessa cessione nel 2011 ai francesi di Lactalis di una Parmalat ormai pienamente risanata dalla gestione commissariale, suggerisce più di un dubbio anche sull'epilogo della vicenda. Resta infatti da capire come con un advisor del talento di Mediobanca sia stato possibile che, nonostante in Italia siano presenti gruppi alimentari di rilevanza mondiale e vi siano banche pronte a finanziare operazioni di dimensioni assai più ampie, la creatura di Tanzi sia finita nelle mani di un gruppo straniero pur disponendo nelle sue casse di poco meno di 1,5 miliardi di liquidità.

QUATTRO VOTI

Chi di tanto in tanto incontrava Tanzi durante la sua solita passeggiata mattutina nel giardino della villa di proprietà della moglie Anita Chiesi (gli arresti domiciliari gli concedevano due ore di aria al giorno) racconta che da anni l'imprenditore non poneva più domande sul destino della sua Parmalat, salvo di tanto in tanto interrogarsi su quella strana vendita ai francesi. Per contro, di recente, prima del ricovero in ospedale, si mostrava molto curioso di conoscere i giochi incrociati per la nomina del successore di Sergio Mattarella al Quirinale. Peraltro dicendosi compiaciuto dell'attività del premier Mario Draghi, sul quale aveva tanto puntato a metà degli Anni Ottanta colui che è stato tra i suoi più cari amici: il ministro del Tesoro Giovanni Goria. Quale fosse il suo grado di dipendenza dalla politica è difficile dire, di certo c'erano anche rapporti di amicizia autentici se è vero che Francesco Cossiga non ha esitato ad andare a trovarlo nel carcere di Parma. Ieri l'ex ministro Calogero Mannino ha ricordato quanto Tanzi fosse generoso anche verso ambienti diversi dalla politica, come con l'aereo personale messo a disposizione di Giovanni Falcone per i suoi spostamenti tra Roma e Palermo. E di sicuro Silvio Berlusconi avrà ricordato che nel 1994 senza quei quattro voti procurati attraverso le relazioni di Tanzi con il mondo democristiano, il suo primo governo non sarebbe mai nato. Una generosità eccessiva, che non è servita a risparmiargli le disgrazie che gli sono piovute addosso.

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