«I social e lo streaming? Sono modi diversi per guadagnarsi l'attenzione, ma non il mestiere. Quello lo puoi imparare percorrendo solo una via: quella della fatica e del sacrificio. Non puoi pensare che qualche migliaio di visualizzazioni possano trasformarti in un artista»: ne è convinto Nek, che a 50 anni debutta domani in prima serata su Rai2 alla conduzione di Dalla strada al palco, un programma in quattro puntate ideato da Carlo Conti e ispirato al successo dei Maneskin, partiti da via del Corso alla conquista del mondo dedicato agli artisti di strada.
Perché hanno scelto lei?
«Anche io ho iniziato in circostanze simili, nelle piazze.
Cioè?
«Il pubblico delle piazze è feroce. E trova il modo per fartelo sapere. Mi è successo di tutto. Ho ricevuto sputi, fischi, insulti. La gente conosceva solo la canzone che girava in radio: per il resto era un'incognita. Una sera mi lanciarono anche un sasso: tragedia sventata per pochi millimetri».
Racconti.
«Eravamo al sud, non ricordo dove. A qualcuno non dovevo stare simpatico: vidi questa pietra sfiorarmi la testa. Partì la caccia al colpevole. Ci fu un'insurrezione».
Come finì?
«Fermai tutto. Portai il sasso al promoter: Basta così. Quegli anni, però, mi fecero capire che il successo te lo devi guadagnare con il duro lavoro. Senza non si va da nessuna parte. Quando nel '93, a 21 anni, arrivai a Sanremo tra le nuove proposte, ero già strutturato».
Blanco e Madame sono arrivati al Festival direttamente tra i big senza aver fatto nemmeno un concerto.
«Gli auguro di poter lavorare a lungo, ma devono partire dal basso. Non lo dico io: è la scuola della vita. Se finisci direttamente in alto, ti perdi tutti i passaggi precedenti: quando è così, rischi di non saper gestire le cose. Si renderanno conto che la cosa più difficile è la longevità».
Cosa ne pensa dei Maneskin, invece?
«Sono un bell'esempio: ragazzi che si sono fatti le ossa in una palestra importante come quella della strada. Per lanciare il programma la scorsa settimana mi sono improvvisato busker proprio a via del Corso. Chissà quante volte sono rientrati a casa stanchi e demoralizzati. Il programma valorizza storie come la loro».
Quella che l'ha colpita di più?
«La storia di Davide Martello, di origini italiane ma cresciuto in Germania. Va nei luoghi di guerra a portare musica con un pianoforte che traina su un rimorchio a due ruote. È stato anche al confine con l'Ucraina. Mi ha commosso».
Per il trentennale di carriera a cosa sta lavorando?
«A un disco con le rivisitazioni dei miei successi. Sanremo? Se avrò la canzone adatta ci tornerò. Magari potrei anche stare dentro al Festival, ma senza cantare. È un desiderio che ho».
Che s'è messo in testa?
«Mi piacerebbe condurlo. So che realizzare questo sogno non è facile».
Anche perché Amadeus ha blindato l'Ariston fino al 2025.
«Vorrà dire che avrò modo di imparare: sarò un osservatore accanito (ride)».
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout