Nek: «Cominciai suonando in piazza, una sera mi lanciarono un sasso: non fui colpito per pochi millimetri»

Il cantautore domani arriva su Rai2 con il programma "Dalla strada al palco": "Sanremo? Mi piacerebbe condurlo"

Nek: «Cominciai suonando in piazza, una sera mi lanciarono un sasso: non fui colpito per pochi millimetri»
di Mattia Marzi
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Lunedì 27 Giugno 2022, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 07:22

«I social e lo streaming? Sono modi diversi per guadagnarsi l'attenzione, ma non il mestiere. Quello lo puoi imparare percorrendo solo una via: quella della fatica e del sacrificio. Non puoi pensare che qualche migliaio di visualizzazioni possano trasformarti in un artista»: ne è convinto Nek, che a 50 anni debutta domani in prima serata su Rai2 alla conduzione di Dalla strada al palco, un programma in quattro puntate ideato da Carlo Conti e ispirato al successo dei Maneskin, partiti da via del Corso alla conquista del mondo dedicato agli artisti di strada.

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Perché hanno scelto lei?
«Anche io ho iniziato in circostanze simili, nelle piazze.

Parlo del periodo prima della partecipazione a Sanremo nel 93. Le cose avevano cominciato a girare bene, tra Castrocaro e il primo disco. I promoter mi scritturavano. Non sempre filava tutto liscio, però».


Cioè?
«Il pubblico delle piazze è feroce. E trova il modo per fartelo sapere. Mi è successo di tutto. Ho ricevuto sputi, fischi, insulti. La gente conosceva solo la canzone che girava in radio: per il resto era un'incognita. Una sera mi lanciarono anche un sasso: tragedia sventata per pochi millimetri».


Racconti.
«Eravamo al sud, non ricordo dove. A qualcuno non dovevo stare simpatico: vidi questa pietra sfiorarmi la testa. Partì la caccia al colpevole. Ci fu un'insurrezione».


Come finì?
«Fermai tutto. Portai il sasso al promoter: Basta così. Quegli anni, però, mi fecero capire che il successo te lo devi guadagnare con il duro lavoro. Senza non si va da nessuna parte. Quando nel '93, a 21 anni, arrivai a Sanremo tra le nuove proposte, ero già strutturato».


Blanco e Madame sono arrivati al Festival direttamente tra i big senza aver fatto nemmeno un concerto.
«Gli auguro di poter lavorare a lungo, ma devono partire dal basso. Non lo dico io: è la scuola della vita. Se finisci direttamente in alto, ti perdi tutti i passaggi precedenti: quando è così, rischi di non saper gestire le cose. Si renderanno conto che la cosa più difficile è la longevità».


Cosa ne pensa dei Maneskin, invece?
«Sono un bell'esempio: ragazzi che si sono fatti le ossa in una palestra importante come quella della strada. Per lanciare il programma la scorsa settimana mi sono improvvisato busker proprio a via del Corso. Chissà quante volte sono rientrati a casa stanchi e demoralizzati. Il programma valorizza storie come la loro».


Quella che l'ha colpita di più?
«La storia di Davide Martello, di origini italiane ma cresciuto in Germania. Va nei luoghi di guerra a portare musica con un pianoforte che traina su un rimorchio a due ruote. È stato anche al confine con l'Ucraina. Mi ha commosso».


Per il trentennale di carriera a cosa sta lavorando?
«A un disco con le rivisitazioni dei miei successi. Sanremo? Se avrò la canzone adatta ci tornerò. Magari potrei anche stare dentro al Festival, ma senza cantare. È un desiderio che ho».


Che s'è messo in testa?
«Mi piacerebbe condurlo. So che realizzare questo sogno non è facile».


Anche perché Amadeus ha blindato l'Ariston fino al 2025.
«Vorrà dire che avrò modo di imparare: sarò un osservatore accanito (ride)».

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