Morto Virginio Rognoni, fu più volte ministro: a lui si deve l'introduzione del reato di associazione mafiosa

Fu ministro dell'Interno dal 1978 al 1983 e, successivamente ministro della Giustizia e della Difesa

Morto Virginio Rognoni, fu più volte ministro: a lui si deve l'introduzione del reato di associazione mafiosa
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Martedì 20 Settembre 2022, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 17:35

È morto Virginio Rognoni. Ex ministro al Viminale negli anni di piombo ed esponente della Democrazia cristiana, è deceduto questa notte, nella sua casa di Pavia. Rognoni è uno dei politici italiani più conosciuti della seconda metà del Novecento.

Aveva compiuto 98 anni lo scorso 5 agosto, si è spento nel sonno. Docente alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pavia, è stato un personaggio di primo piano della Dc.

Fu ministro dell'Interno dal 1978 al 1983 dopo le dimissioni di Cossiga al termine del tragico epilogo del rapimento di Aldo Moro, e successivamente ministro della Giustizia e della Difesa. Dopo la fine dell'esperienza della DC (corrente Zaccagnini, assertore convinto della laicità della politica, fu poi critico verso la leadership di De Mita e della politica del pentapartito), aveva aderito prima al Partito Popolare e poi al Pd.

Rognoni, al Viminale e poi Guardasigilli con Craxi

Era nato a Corsico, in provincia di Milano il 5 agosto del 1944, studente del prestigioso collegio Ghislieri, dopo la laurea in giurisprudenza nel 1947 e l'esperienza da borsista alla Yale University, in Usa, intraprese la carriera accademica, divenendo Professore di Istituzioni di diritto processuale a Pavia.

Dopo la gavetta politica, da amministratore scudocrociato al Comune di Pavia, negli anni '60, Rognoni, nel 1968, arriva a Montecitorio, dove siederà ininterrottamente nei banchi della Dc, fino al 1994. Molti gli incarichi di governo: è stato ministro negli esecutivi Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini e Fanfani. 

Al Viminale saranno cinque anni densi di avvenimenti e anche di episodi controversi, dalle accuse alle forze antiterrorismo per le presunte torture ai brigatisti rapitori del generale della Nato, l'americano James Lee Dozier, alla vicenda della fuga in Francia di Marco Donat Cattin, figlio del ministro del lavoro, Carlo, accusato di banda armata e terrorismo, all'autorizzazione, a firma Rognoni, della pubblicazione del memoriale di Moro rinvenuto a via Montenevoso. Rognoni, fu al Viminale durante la tragica estate del 1980, segnata dalle stragi di Ustica e della stazione di Bologna.

A Rognoni si deve fra l'altro una legge molto importante: la legge “Rognoni-La Torre” del 1982 che ha introdotto per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e le misure patrimoniali per colpire la criminalità organizzata. Il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 che aveva come primo firmatario Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Ministro di Grazia e Giustizia nell'87 nei governi Craxi e Fanfani. Ministro della Difesa nel sesto e settimo governo Andreotti, tra il 1990 e il 1992. Impegno, quest'ultimo, che gli tirò addosso le aspre critiche di parte della sinistra Dc. Con la stagione di "Mani pulite" ed il declino dei partiti della prima repubblica, di fronte alla diaspora democristiana, Rognoni segue Martinazzoli aderendo al partito popolare italiano. È tra i dodici "saggi" che scrivono il manifesto dell'Ulivo nel 2007, approdando infine nel partito democratico. Tra il 2002 ed il 2006, Rognoni ha rivestito la carica di vicepresidente e successivamente di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Tifosissimo della Juventus, squadra della quale non perdeva una partita, ebbe a dire una volta: «La Juventus ha vinto sempre, è il partito della maggioranza relativa, la squadra che ha più consenso, partito di governo».

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«Apprendo la notizia della scomparsa di Virginio # Rognoni, protagonista sempre in positivo di tante stagioni importanti della vita istituzionale del nostro Paese. Un grande amico e un punto di riferimento. Un abbraccio affettuoso alla sua famiglia». Lo scrive su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta.

«La scomparsa di Virginio Rognoni mi addolora profondamente. Ero legato a lui da sentimenti di autentica amicizia e grande stima. Rigore ed etica esemplari hanno sempre guidato e contraddistinto il suo lavoro politico al servizio del Paese e delle sue Istituzioni, alle quali ha dedicato tutta la sua vita. La sua determinazione nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo, in anni davvero difficili, restano esemplari, così come il suo costante impegno in favore della giustizia sociale e dell'elevazione culturale del Paese.Il mio pensiero affettuoso è rivolto ai suoi figli e ai tanti amici che gli hanno voluto bene». Così l'ex premier Romano Prodi ricorda la figura di Virginio Rognoni.

«Giurista raffinato, dal profilo tendenzialmente aristocratico». Così Pier Luigi Castagnetti ricorda Virginio Rognoni,«Gingio per gli amici». «Ha gestito tanto potere in ministeri importanti, sempre con competenza, eleganza e un certo distacco interiore» prosegue Castagnetti che conclude:« Mi mancheranno le sue telefonate di 'aggiornamentò».

«La scomparsa di Virginio Rognoni ci priva di una grande personalità, di una figura centrale nella storia della nostra Repubblica, di un uomo che ha fatto crescere la nostra democrazia. Tra i padri fondatori del Pd non ha mai smesso di sostenere il nostro partito e fino alla fine ci ha sostenuto con lucidità e forza. Quando fui eletto segretario provinciale del partito di Pavia nel 2009 lo andai a trovare e lui mi incoraggiò, ricordandomi che un dirigente politico, per svolgere bene la sua funzione 'deve tenere in una mano un libro e nell'altra un quotidianò: studio e attualità, sempre. Ho avuto l'onore di sentirlo l'ultima volta domenica sera». Così Alan Ferrari, vice presidente vicario dei Senatori del Partito Democratico. «Le forze non gli permettevano di essere presente ad una iniziativa elettorale a Certosa di Pavia il giorno dopo, a cui sarebbe intervenuto insieme a me Stefano Bonaccini, quindi mi ha telefonato per chiedermi di salutare il Presidente Bonaccini e di spronarlo a non mollare fino al 25 perché 'c'è la destra da batterè. Pavia e l'Italia perdono un grande uomo. Ai suoi familiari le mie più sentite condoglianze», conclude.

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