Morto Angelo Del Boca, storico e giornalista, pioniere degli studi sul colonialismo

Morto Angelo Dal Boca, storico e giornalista, pioniere degli studi sul colonialismo
di Gabriele Santoro
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Martedì 6 Luglio 2021, 22:14

Lo storico e giornalista Angelo Del Boca, scomparso all’età di 96 anni nella sua casa torinese, ha conquistato sul campo i gradi del più impegnato studioso del colonialismo italiano. Insignito di tre lauree honoris causa dall’Università di Torino, Lucerna e Addis Abeba, già nel secondo dopoguerra mondiale, una volta entrato nella redazione de Il Giorno, fondato da Enrico Mattei e diretto da Italo Pietra, avvertì l’urgenza di indagare, raccogliere documenti e raccontare che cosa rappresentasse il nostro colonialismo e quali fossero le gravi conseguenze della rimozione della sua storia.

L’opera di Del Boca ha contribuito a smontare uno stereotipo innocentista, una cultura della non responsabilizzazione che ha affrancato a lungo gli italiani da evidenti responsabilità storiche. Non è un caso che si sia venuto piano piano a rimuovere il ricordo della guerra di Etiopia: solo nel 1996 il ministero della Difesa e degli Esteri hanno ammesso l’utilizzo di agenti chimici in Etiopia da parte del nostro esercito. Trent’anni prima, nel 1965, con il volume La guerra d’Abissinia 1935-1941, Del Boca aveva fatto emergere proprio i crimini compiuti dai militari italiani, compreso l’uso dei gas tossici vietati dalle convenzioni internazionali. All’invasione italiana dell’Etiopia, prima dei libri, il giornalista nato a Novara lavorò a un’inchiesta a puntate uscita nelle colonne della Gazzetta del Popolo. Nella sua formazione fu decisiva l’esperienza partigiana raccolta nella pubblicazione di Mondadori del 2015 Nella notte ci guidano le stelle: La mia storia partigiana.

Tra i libri fondamentali scritti da Del Boca sulle vicende coloniali ricordiamo Gli italiani in Africa orientale, pubblicato nella prima edizione da Laterza in quattro volumi tra il 1976 e il 1984, e Gli italiani in Libia (Laterza, 1986). Dall’incontro in Etiopia con l’imperatore Hailé Selassié nacque il bestseller II Negus. Vita e morte dell’ultimo Re dei Re. In Etiopia, Addis Abeba è stata il cuore di una colonizzazione dal carattere prettamente urbano, attirando dall’Italia gran parte di un flusso migratorio straordinariamente consistente in un breve lasso di tempo. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale erano quarantamila gli italiani residenti nella capitale su un totale di 166mila nell’intera Africa Orientale.

La struttura della società coloniale italiana aveva due vertici opposti: c’erano una ristretta élite burocratica, militare, imprenditoriale e alla base un proletariato bianco non qualificato di breve permanenza, pochi i contadini, poi la maggioranza di coloni, una multiforme classe media.

La solidarietà di razza, propria di un contesto coloniale, non ribaltò la gerarchizzazione e la divisione in classi vissuta in patria. Anzi i poor white erano percepiti dall’élite coloniale come una minaccia per la società dominatrice e per la purezza razziale: erano i più esposti al rischio della degenerazione del meticciato per la vicinanza con i nativi nei luoghi non esclusivi della città africana.

Nella nostra memoria sono stati messi in secondo piano i massacri perpetrati dagli italiani nei Balcani, gli stessi eccidi nel territorio nazionale si è spesso affermata la volontà di riconoscere solo la mano tedesca durante l’occupazione. Nel volume Italiani, brava gente? Del Boca ha decostruito questo mito, affrontando alcune delle pagine più buie della storia nazionale: i massacri di popolazioni del meridione d’Italia durante la cosiddetta «guerra al brigantaggio»; l’edificazione nell’isola di Nocra, in Eritrea, di un tremendo sistema carcerario; le rapine e gli eccidi compiuti in Cina nel corso della lotta ai boxers; le deportazioni in Italia di migliaia di libici dopo la sanguinosa giornata di Sciara Sciat; lo schiavismo applicato in Somalia; la creazione nella Sirtica di quindici lager mortiferi per debellare la resistenza di Omar el-Mukhtàr in Cirenaica; l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite per accelerare la resa delle armate del Negus.

Ciò che lascia in eredità Del Boca evoca un gesto chiave della storia europea. Il 7 dicembre 1970 durante una sua visita a Varsavia il Cancelliere tedesco Willy Brandt si inginocchiò di fronte al monumento in memoria della distruzione del ghetto della capitale polacca. Si trattò di una chiara ammissione di colpa per quanto commesso dal popolo tedesco, che Brandt rappresentava pur senza essere in alcun modo lui responsabile di quella vergogna storica. È la memoria di ciò di cui c’è da vergognarsi che conserva il ricordo dei torti compiuti verso gli altri. La memoria autocritica soppianta quella autocelebrativa, rivendicativa che spesso è diventata memoria istituzionale. Per usare le parole del filosofo camerunese Achille Mbembe: «La memoria è soprattutto una questione di responsabilità nei confronti di qualcosa di cui spesso non si è l’autore».

Il funerale di Del Boca si svolgerà giovedì alle 10:30 nella parrocchia del Nazzareno a Torino.

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