Mo Farah, la stella dell'atletica. «Il mio un nome rubato. Da piccolo ero uno schiavo»

«A Londra da illegale, a 9 anni facevo il domestico»

Mo Farah, la stella dell'atletica. «Il mio un nome rubato. Da piccolo ero uno schiavo»
di Gianluca Cordella
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Martedì 12 Luglio 2022, 21:36 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 19:00

Mo Farah non è Mo Farah. Non è un rifugiato scappato dalla Somalia. E, no, la sua famiglia non è arrivata nel Regno Unito con lui. Non lo ha fatto nemmeno dopo, per la verità. La sua infanzia non è stata gioiosa come lo è una vita che si rinnova nelle opportunità, ma claustrofobica e segnata dalle privazioni, dalla costrizione morale. Un macigno su un bambino di 9 anni. Per di più solo. Ora il fuoriclasse del mezzofondo mondiale di anni ne ha 32, con gli allori sportivi e le primavere trascorse che l’hanno guidato verso la stabilità mentale ed emotiva necessarie per togliersi la maschera senza più paura degli incubi che furono. Ecco a voi Hussein Abdi Kahin, l’uomo fuggito dal Gibuti che ha riscritto la storia dell’atletica mondiale sotto falso nome. «So di aver preso il posto di qualcun altro, mi chiedo spesso che fine abbia fatto il vero Mohamed». E il sorriso contagioso mostrato dopo i suoi innumerevoli trionfi mondiali e olimpici si spegne. 

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IL RACCONTO

La verità che Farah affida al documentario firmato dalla Bbc e dai Red Bull Studios è profondamente diversa da quella che lo stesso pluricampione ha raccontato ai media negli anni.

La sua storia inglese comincia nel 1992. In Somalia ci aveva vissuto da bambino e lì aveva visto suo padre Abdi ucciso a colpi di arma da fuoco durante la guerra civile. Lui aveva 4 anni appena. All’inizio degli Anni 90 il trasferimento con il resto della famiglia in Gibuti e da lì il viaggio verso l’Europa. Non con la mamma, andata a vivere in una fattoria nel Somaliland con gli altri due figli. Ma con una sconosciuta, una donna che si diceva inserita nel Vecchio Continente e che lo avrebbe aiutato a rintracciare alcuni suoi parenti che prima di lui avevano compiuto quel viaggio.

Gli vengono dati dei documenti falsi: c’è la sua foto e un nome nuovo, Mohamed Farah. Ma arrivati a Hounslow, a ovest di Londra, nella casa della misteriosa accompagnatrice comincia il suo calvario. «Prese il foglio dove c’erano i contatti dei miei parenti e, davanti a me, lo strappò e lo gettò in un cestino. In quel momento capii di essere nei guai». Il piccolo Mohamed viene obbligato a svolgere i lavori domestici e ad aiutare la donna con la gestione degli altri - tanti - “figli” presenti in quella casa. Se non lo fa, niente piatto a tavola. «Se vuoi rivedere la tua famiglia, non devi dire niente a nessuno», la minaccia della donna, che per limitare i contatti del bambino gli proibisce anche di andare a scuola, fino al compimento dei 12 anni. 

LA SVOLTA

Scuola che sarà la croce prima che la delizia per Farah. Il ragazzo parla l’inglese poco e male e non è che nei tre anni precedenti abbia sviluppato chissà quale socialità. «Non riuscivo a inserirmi, mi bullizzavano», racconta alla Bbc. Ma, per sua fortuna, Mohamed sa correre. Una dote che gli procura la via verso la salvezza con l’aiuto di Alan Watkinson, professore di educazione fisica e figura chiave di questa storia: Farah sente l’affetto dell’uomo e un paio di anni dopo riesce ad aprirsi con lui, a raccontargli tutto il suo passato. Watkinson sente che deve fare qualcosa, fa fuoco e fiamme ai servizi sociali e riesce a ottenere che il ragazzo venga affidato ad un’altra famiglia, somala come lui. «Mi ha salvato la corsa». 

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IL CANNIBALE

È qui che nasce il Mo Farah che conquisterà il mondo nei 5.000 e nei 10.000 metri. Quello dei sei titoli mondiali e della “doppia doppietta” olimpica tra Londra 2012 e Rio 2016. Ori in serie, la Regina Elisabetta lo nomina Sir e non è un caso che fosse a bordo di uno dei bus scoperti durante il recente Platinum Pageant, la sfilata che ha chiuso il Giubileo per i 70 anni di regno della sovrana. 

Ora tutto potrebbe cambiare: in fin dei conti Farah non è entrato nel Regno Unito da rifugiato ma da immigrato irregolare e ha mentito sulla sua identità. La revoca della cittadinanza è legalmente possibile, anche se le prime reazioni delle istituzioni non sembrano affatto andare in questa direzione. 
Quel che è certo è che, con il senno di poi, la sua celebre esultanza, il MoBot, assume un senso diverso. Non più la M, iniziale di un nome non suo, che era nata per gioco durante uno show in tv con James Corden e Claire Balding, prima dei Giochi di Londra. Ma un cuore, come l’aveva reinterpretata lo stesso Farah, “adattandola” per una campagna di beneficenza. Quel cuore «che per tutti questi anni ha custodito questa vicenda».
 

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