Se Milena Gabanelli è diventata una delle giornaliste televisive più conosciute d'Italia lo si deve a un film del 1973. E soprattutto al suo regista, Jean Eustache. La pellicola si chiamava «La maman et la putain», «La mamma e la puttana». «L’autore, Jean Eustache, era uno dei grandi esponenti della «nouvelle vague» - racconta lei stessa in un articolo sul Corriere della Sera - Un uomo complesso, tormentato, molto spesso diluiva il suo genio nell’alcool. Un uomo dalla sensibilità autodistruttiva, che decise di ritirare dal mercato le bobine del suo più grande film «…perché la mia compagna dopo averlo visto si è suicidata…», mi confidò. Alla fine si suicidò anche lui, a soli 42 anni. Ho raccontato raramente questa storia, per pudore, o anche un senso di colpa, perché la mia carriera televisiva inizia con la sua disgrazia.
Il film
Bologna, aprile 1980. A 25 anni, la Gabanelli - neolaureata al Dams - fondò una cooperativa che organizzava rassegne cinematografiche con fondi comunali.
Il suicidio del regista
A novembre dell’anno dopo si sparò al cuore. La notizia non mi sorprese, ma mi sentivo in dovere di rendergli omaggio. Da quella rassegna si era avanzato un piccolo credito, credo 500 mila lire, e con la cooperativa decidemmo di produrre un cortometraggio in bianco e nero di un quarto d’ora, in 16 millimetri. «A Jean Eustache», si chiamava. La Gabanelli lo propose senza successo al Festival di Venezia, poi alla sede Rai di Bologna. Organizzò una visione. Il film gli piacque e decise di comprarlo per 30 mila lire. A Venezia (1982) passò la selezione e fu proiettato nella sezione Officina. Era l’ultimo intervento pubblico di Jean Eustache, e il suo era un nome che per i francesi significava qualcosa. Il giorno dopo Le Monde le dedicò 20 righe. «Andai a sventolare quel trafiletto al direttore Ottaviano in segno di riconoscimento per l’aiuto che mi aveva dato - racconta ancora la Gabanelli - E lui solare: «Perché non ci proponi qualcosa per Rai3 Regione?». Così nacque la sua storia in tv.