Mihajlovic, il ricordo del giornalista del Messaggero Padoa: «Non ci stavi mai a perdere»

"Sei arrivato in Italia, alla Roma, come un eroe", prosegue su Facebook

Mihajlovic, il ricordo del giornalista del Messaggero Padoa: « Non ci stavi mai a perdere»
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Venerdì 16 Dicembre 2022, 17:24 - Ultimo aggiornamento: 18:21

Sul suo profilo Facebook l'ex giornalista del Messaggero Francesco Padoa saluta Sinisa Mihajlovic di cui era amico. «Eri un grande professionista, Sinisa. E un grande uomo. La tua grinta, quella che ti ha permesso di combattere per anni contro l’ingiusto, contro il male, contro il destino, in campo e nella vita - meravigliosa la famiglia che hai costruito - ti hanno condotto lontano».

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I successi

«Hai vinto uno scudetto a Roma, impresa che capita ogni morte di Papa, e tu c’eri e hai contribuito in modo sostanziale, ma tanti sono i traguardi che hai raggiunto con il tuo spirito da gladiatore.

Come quando giocavamo a tennis, io e te diventati grandi amici, nel tuo periodo romano in giallorosso. Erano partite combattutissime, e tu, superatleta in confronto a me sportivo della domenica, eri più forte, vincevi quasi sempre. Ma quando capitava che il punto lo facessi io, allora ti arrabbiavi con te stesso, imprecavi, addirittura ti ho visto spaccare un paio di racchette sbattute con violenza a terra. Non ci stavi mai a perdere, neanche un punto».

Il carattere

«La tua caparbietà ti arrivava sicuramente dalle sofferenze e le difficoltà che avevi vissuto in patria, nella tua allora Jugoslavia, discioltasi nella guerra civile. Un serbo nato in Croazia, e quel passato ti aveva forgiato e ti aveva reso forte, determinato, inarrestabile. Per molti anche controverso. Sei arrivato in Italia, alla Roma, come un eroe, acquistato dalla Stella Rossa a suon di decine di milioni. Conservo ancora gelosamente la copia del tuo contratto, per l’epoca altisonante, era il 1992, sottoscritto dalla dirigenza giallorossa cogestita da Franco Sensi e Pietro Mezzaroma. Un grande colpo di mercato. Arrivasti nella Capitale accompagnato dalla fama di essere un grande giocatore specialista nel tirare le punizioni: si raccontava che il pallone calciato dai tuoi piedi viaggiava a velocità supersoniche, che i portieri riuscivano a vedere solo quando era ormai alle loro spalle. In realtà, in giallorosso non hai avuto molte occasioni di sfondare le reti delle porte avversarie, un solo gol in 54 partite, ma le tue prestazioni furono sempre encomiabili, ineccepibili sotto il profilo dell’impegno, forse talvolta… anche troppo. Ma quello eri tu, combattente nato, sanguigno e passionale, irascibile al limite del regolamento. Poi sei passato alla Samp e lì è cominciato il tuo crescendo in terra italiana, che dopo quattro anni ti ha condotto alla grande “esplosione” in maglia biancoceleste. Alla Lazio, in sei stagioni, di gol ne hai realizzati una ventina, contribuendo in maniera decisiva alla conquista dello scudetto. Poi l’Inter, dove hai concluso la carriera da calciatore e iniziato quella da allenatore. Sempre con grande professionalità e tenacia. Quella che ti ha accompagnato nella fase più dolorosa della tua vita, per fortuna coccolato da una stupenda e innamorata moglie e dai tuoi meravigliosi e affettuosissimi figli».

La partenza da Roma

«Dopo la tua partenza da Roma ci siamo incontrati qualche volta a piazza Euclide, dove la tua famiglia era rimasta e dove i tuoi figli andavano a scuola, e lì ho conosciuto la signora Mihajlovic, e ho capito che Arianna sarebbe stata la donna della tua vita: i vostri sorrisi complici erano l’evidenza di un amore che solo un destino maligno poteva dividere. Altre volte ci siamo incontrati per caso, essendo ormai lontane le nostre strade professionali: come nel 2014 sulle tribune del Forum di Assago, quando durante la finale di xFactor ci facemmo un selfie che poi tu mi autografasti con una frase nella tua lingua che non mi hai mai voluto decifrare. Perché sapevi anche essere ironico, simpatico e divertente. Sicuramente gentile, direi quasi un gentiluomo e amico vero. Come quella volta, era il 1994 ed era appena nato mio figlio, che parlando di vacanza tu mi apristi le porte della tua casa a Cipro, in un bellissimo residence con piscina, dove passai una settimana meravigliosa e che non scorderò mai più perché, appunto, mi ricorda la tua amicizia».

La malattia

«Durante la tua malattia mille volte avrei voluto correre a Bologna ad abbracciarti e incoraggiarti, anche se di incoraggiamenti ne avevi da tutta Italia e non solo, ma poi ci si è messa di mezzo anche la pandemia che ha complicato tutto ancor di più. E così sono rimasto senza poterti salutare, ascoltare qualche tua pungente battuta, senza poter abbracciare il miglior amico che da giornalista ho avuto nel mondo del calcio.
Ciao Sinisa, amico mio»

fff

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