Michele Padovano non è un narcotrafficante, l'ex calciatore assolto dopo 17 anni: «Sono scoppiato a piangere»

L'ex attaccante di Juventus e Nazionale fu arrestato nel 2006: ieri la sentenza in appello

Michele Padovano non è un narcotrafficante, l'ex calciatore assolto dopo 17 anni: «Sono scoppiato a piangere»
di Erica Di Blasi
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Mercoledì 1 Febbraio 2023, 07:42 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 13:48

Ci sono voluti 17 anni per dimostrare la sua innocenza. Solo alla fine di questo calvario è stato assolto anche dalla giustizia italiana. L'accusa? Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Protagonista della paradossale vicenda, l'ex calciatore Michele Padovano, attaccante che ha giocato, tra le altre squadre, in Juventus, Napoli e Genoa, oltre che in Nazionale. La sentenza è stata pronunciata al termine del processo d'appello bis che era stato ordinato dalla Cassazione.

«Sedici anni fa - ha commentato la notizia Padovano - un clic ha spento la luce nella mia vita.

Oggi il buio se n'è andato via, sono rimasto quasi accecato, mi si è di nuovo scaldato il cuore e sono scoppiato a piangere. Ringrazio la giustizia, i miei avvocati Giacomo Francini e Michele Galasso, mia moglie, mio figlio e quanti mi hanno da sempre creduto». Padovano era stato coinvolto nel 2006 in una vasta inchiesta della procura di Torino su un traffico di hashish. In primo grado la pubblica accusa aveva chiesto 24 anni di reclusione. La Cassazione aveva poi annullato con rinvio la condanna a sei anni e otto mesi. Padovano era accusato di aver finanziato un traffico di droga dalla Spagna all'Italia gestito dall'amico d'infanzia Luca Mosole. Quest'ultimo difeso dagli avvocati Enrico Grosso e Gianni Caneva - è stato condannato a 6 anni e 8 mesi.

L'intera vicenda ruotava intorno a un prestito di 35 mila euro in contanti che il giocatore fece all'amico. I soldi ha sempre sostenuto l'ex bomber bianconero servivano per l'acquisto di un cavallo, non per la droga. Certo per Padovano il ricordo di quel giorno è ancora ben impresso nella mente. «Nel maggio del 2006 ero il direttore generale dell'Alessandria in Serie D. Avevo finito una cena al ristorante con amici, quando tre volanti civetta mi hanno bloccato davanti all'ospedale di Torino. Il destino ha voluto che tutto iniziasse proprio dove sono nato e di fronte a dove mi sono sposato. Subito ho pensato che si trattasse di Scherzi a parte, poi per i modi e i tempi che si allungavano ho capito che non era così. Prima 10 giorni di isolamento nel carcere di Cuneo, poi tre mesi nel carcere di Bergamo, reparto speciale». Poi anche otto mesi ai domiciliari, prima della lunga battaglia nei tribunali. Ora l'incubo è finito.

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