Michela Murgia: «Ho un tumore, mi resta poco da vivere». Meloni: «Spero vedrà il giorno in cui non sarò più premier»

La scrittrice ha 50 anni: "Ho deciso di sposarmi, le metastasi sono già ai polmoni"

Michela Murgia: «Ho un tumore, mi resta poco da vivere». Meloni: «Spero vedrà il giorno in cui non sarò più premier»
di Marta Giusti
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Sabato 6 Maggio 2023, 06:14 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 17:58

Michela Murgia ha un tumore. Ed è al quarto stadio. Le rimangono pochi (o forse molti) mesi davanti, ancora. Non è operabile, perché ha già metastasi alle ossa, ai polmoni e al cervello. Ma sa che morirà e da tempo sta preparando la sua partenza. Per questo ha intenzione di sposarsi. Tre ciotole, (Mondadori) suo ultimo libro esce il 16 maggio. Il primo racconto si apre con la diagnosi di un male incurabile. Ed è una vicenda autobiografica ha raccontato Murgia in un'intervista al Corriere della Sera rilasciata ad Aldo Cazzullo. 

Michela Murgia, il tumore e le nozze

Michela Murgia, la situazione

Perché la scrittrice, drammaturga, blogger, opinionista, autrice tra gli altri del romanzo bestseller pluripremiato Accabadora, ha un tumore al quarto stadio, uno stadio da cui «non si torna indietro».

Sta per morire, sottolinea. Le restano pochi mesi. E ha deciso di raccontarlo. Spiegando che «le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello». «Non importa se non avrò più molto tempo: l'importante per me ora è non morire fascista», dichiara la scrittrice che si definisce di sinistra. Non ha paura della morte, «spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio», «perché il suo è un governo fascista», accusa. Proprio su questo aspetto ha risposto la premier Giorgia Meloni: «Apprendo da una sua lunga intervista che la scrittrice Michela Murgia è affetta da un bruttissimo male. Non l'ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee, ma voglio mandarle un abbraccio e dirle che tifiamo per lei. E io spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo». 

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Michela Murgia, le condizioni

Murgia non si sente sola, sconfitta: «Ho cinquant'anni, ma ho vissuto dieci vite. Volevo anche andare in Corea Forse ci andrò quando disperderanno le mie ceneri nell'oceano, a Busan». «Ho dieci persone. La mia queer family». «Ho comprato casa con dieci posti letto dove stare tutti insieme - racconta - Ho fatto tutto quello che volevo. E ora mi sposo». Sposerà «un uomo, ma poteva essere una donna». «Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me», precisa. Pensando al momento della fine, Michela Murgia dice: «Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato». Di fatto, esprimendosi a favore dell'eutanasia, che era il tema anche del suo romanzo Accabadora. La scrittrice afferma di avere «quattro figli», «sono figli d'anima. Il più grande ha 35 anni, il più piccolo venti». «Ô insensato dire che di madre ce n'è una sola, la maternità ha tante forme». Il suo male è annunciato all'inizio del suo ultimo libro, le tre ciotole sono quelle in cui lei mangia, rigorosamente da sola, un pugno di riso, qualche pezzetto di pesce o di pollo e qualche verdura. «Mi hanno tolto cinque litri d'acqua dal polmone. Stavolta il cancro era partito dal rene. Ma a causa del Covid avevo trascurato i controlli», dice. La scrittrice si sta curando con un'immunoterapia a base di biofarmaci. «Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L'obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo». «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono», afferma Murgia sostenendo di non voler utilizzare un «registro bellico». «Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere - afferma - Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto o l'alieno» In stato di grazia, Murgia in Tre Ciotole una serie di racconti originali scrive una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati, vomitano amore e rabbia, si tagliano, tradiscono, si ammalano. 

 

Sono alcuni dei personaggi del nuovo libro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. «Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.» A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d'orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. Attraversare quella linea di crisi mostra che spesso la migliore risposta a un disastro che non controlli è un disastro che controlli, perché sei stato tu a generarlo. Michela Murgia è nata a Cabras (Oristano) nel 1972. Ha esordito come scrittrice nel 2006 con Il mondo deve sapere. Tra le sue opere, tradotte in più di trenta paesi, ricordiamo Accabadora (Premio Campiello 2010), Ave Mary (2011), Chirù (2015), Istruzioni per diventare fascisti (2018), Stai zitta (2021) e God Save the Queer. Catechismo femminista (2022).

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LE TAPPE

Nel febbraio 2022 era stata ricoverata in terapia intensiva. All’epoca Murgia aveva fatto sapere di aver subito un intervento di chirurgia toracica all’ospedale Fatebenefratelli di Roma. E aveva pubblicato su Facebook le foto di una siringa di soluzione iniettabile e di alcune pillole spezzate per la sua terapia. Murgia è nata il 3 giugno del 1972 a Cabras in Sardegna. È stata sposata con Manuel Persico dal 2010 al 2014. Ha scritto il libro “Chirù” all’epoca della prima diagnosi del cancro. In un’intervista del 2016 aveva spiegato: «Improvvisamente ti scontri con qualcosa che non puoi controllare. I medici dicono: “Il tumore è messo così, andiamo a tentoni, non sappiamo che risultati darà la cura. Bisogna aspettare”. E tu, davvero, puoi soltanto aspettare. Il tuo tempo diventa un tempo d’attesa. Dell’ultimo esame, degli esiti della chemioterapia. Io, che trovo insopportabile persino fare la fila alla posta, mi sono trovata a fare la fila per la mia vita».

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LE METASTASI

Michela Murgia dice di aver scoperto la malattia all’epoca della campagna elettorale del 2014, quando era candidata alla presidenza della Regione Sardegna. «E non ne ho parlato. Non volevo pietà, non volevo essere accusata di sfruttare la malattia. Avrei potuto fermarmi, ma avrei vanificato l’impegno di centinaia di persone. Allora ho tenuto duro, e sono andata a curarmi fuori dalla Sardegna: se avessi fatto la chemio a Cagliari, mi avrebbero riconosciuta e sarei finita sui giornali». Dice che se non avesse avuto la campagna elettorale a cui pensare, «sarebbe successo quello che succede a molti malati: tu non hai il cancro, tu diventi il cancro. E parli solo di quello, di come ti senti, del fatto che stai perdendo i capelli per la chemio. Io, invece, mi alzavo la mattina e pensavo al comizio, alla gente da incontrare, alla sintesi politica da fare, all’aereo da prendere».

Oggi dice ad Aldo Cazzullo: «Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello». E ancora: «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio». Nel giugno 2022, all’epoca del suo 50esimo compleanno, disse: «Lasciar andare ciò che non è vitale: questa è una delle cose più importanti che ho capito in questi mesi di cura della malattia e di santa igiene di vita e relazione. Così per il mio cinquantesimo compleanno ho aperto l’armadio, che esplodeva di cose accumulate negli anni, e ho scelto cinquanta capi che lungo la vita hanno vestito la persona che sono stata, ma che adesso non sono più».

 

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