Michela Murgia presenta la sua queer family sui social. E lo fa dicendo sui suoi profili social che raccontarla è una necessità «sempre più politica». La scrittrice ha pubblicato un post in cui mette un altro tassello al diario social di questi giorni sulla sua sua malattia e sul modo di affrontarla con il sostegno della sua queer family. Oggi racconta l'usanza sarda di utilizzare il termine è «sa sposa/su sposu» riferita a rapporti che col fidanzamento non hanno nulla a che fare, così come col genere o con l'età. «Nella queer family che vivo non c'è nessuno che non si sia sentito rivolgere il termine sposo/sposa in questi anni. Dopo lo sconcerto dei non sardi, ha vinto l'evidenza: l'elezione amorosa va mantenuta primaria, perché nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai». Insomma, sostiene la scrittrice che «usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire».
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La famiglia di Michela Murgia
«La parola più queer che esista in sardo è "sa sposa/su sposu".
Il post sui social
Nella famiglia queer di Michela Murgia ci sono il futuro marito Lorenzo Terenzi e gli altri "Fillus de anima", figli dell'anima come scriveva nel suo romanzo più famoso, Accabadora. Ci sono il cantante lirico Francesco Leone, l'attivista Michele Anghileri e tante donne a lei molto legate, come le scrittrici Chiara Valerio e Chiara Tagliaferri.
«Mia zia e mia nonna mi hanno chiamata più così che col mio nome e mio fratello mi risponde al telefono tutt'ora in quel modo. È come se l'intera isola tutti i giorni tenesse insieme i ruoli attraverso la categoria del fidanzamento e a pensarci bene è curioso, perché è una categoria incompiuta (una promessa) e non rappresenta alcun titolo familiare. Sposa e sposo sono parole che indicano l'elezione affettiva, non un ruolo. Lo scopo del fidanzamento è conoscersi e piacersi al punto da farsi balenare la felicità a vicenda e mi pare una postura sentimentale molto bella da esercitare. Nella queer family che vivo non c'è nessuno che non si sia sentito rivolgere il termine sposo/sposa in questi anni. Dopo lo sconcerto dei non sardi ha vinto l'evidenza: l'elezione amorosa va mantenuta primaria, perché nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire».