Messina Denaro, la vita "normale" del latitante a Campobello. «Di che mi occupo? Sono un medico»

L’ultimo stragista di Cosa Nostra non faceva la vita dell’eremita durante la latitanza. Osava, usciva, e anche frequentemente: il racconto dei concittadini (ignari di chi fosse)

Messina Denaro, la vita "normale" del latitante a Campobello. «Di che mi occupo? Sono un medico»
di Nicola Pinna, inviato a Campobello di Mazara
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Martedì 17 Gennaio 2023, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 23:26

Qualcuno al bar una domanda indiscreta gliel’aveva fatta: «Ma lei qui in paese di cosa si occupa?». Matteo Messina Denaro aveva la risposta pronta: «Sono un medico». In un posto in cui la discrezione non è mai troppa neanche i pettegoli hanno insistito. Anzi, solo un anziano una volta ha aggiunto una richiesta alla bizzarra spiegazione del super latitante che si fingeva dottore e viveva ostentando sicurezza alla periferia di Campobello di Mazara, non lontano da Trapani: «La prossima volta le devo chiedere un consiglio per un dolore alla gamba». 

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Messina Denaro, la vita del "signor Bonafede" a Campobello

Il consulto non ci sarà. Anche perché è proprio Matteo Messina Denaro, che ora sull’identità non può più fingere, ad avere bisogno o urgente di cure.

Il tumore lo divora e proprio la malattia lo ha costretto al passo falso che gli è costato la cattura.

 

LA VITA "NORMALE" DEL LATITANTE

A Campobello di Mazara, cittadina di 11 mila abitanti che confina con la sua Castelvetrano, l’ultimo stragista di Cosa Nostra non faceva la vita dell’eremita. Osava, usciva, e anche frequentemente, raccontano oggi alcuni degli abitanti che finalmente possono chiacchierare persino con gli sconosciuti con un briciolo di paura in meno. Qualcuno, il finto dottore che si faceva chiamare Andrea Bonafede e che portava in tasca una perfetta carta d’identità con quel nome, lo ha incontrato al piccolo supermercato di via Vittorio Emanuele II, una volta anche in pizzeria e più spesso al bar. Il benzinaio invece nega, così pure le commesse di profumi e cosmetici che sta al piano terra dello stesso stabile-rifugio. «Lui - racconta il comandante della polizia locale, Giuliano Panierino - qui aveva più di casa qui che a Castelvetrano. Qui abita il fratello, qui aveva trovato i principali fiancheggiatori». 

IL COVO

L’uomo che ha dato più filo da torcere alle forze dell’ordine non viveva asserragliato. E neanche dentro a un bunker, perché l’appartamento di vicolo San Vito, dove ha trascorso almeno sei mesi e forse un anno, non era un tugurio semibuio. Stanze ben ristrutturare, arredi di lusso e agi tipici di chi non ha mai avuto preoccupazioni economiche. Il signor Andrea Bonafede che ha messo a disposizione del padrino la sua identità, il suo aiuto quotidiano e la sua abitazione ora deve rispondere di favoreggiamento. È indagato a piede libero per il momento ma da 24 ore nessuni sa dove sia finito. I carabinieri sì, che lo tengono d’occhio e hanno da fargli molte domande. 
 

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