Marco Masini, dalla crisi alla rinascita nel tour per i 30 anni di carriera: «La mia guerra contro i maligni adesso è finita»

Lunedì 9 gennaio il 58enne cantautore toscano chiuderà al Parco della Musica il lungo tour con il quale ha festeggiato il trentennale di carriera

Marco Masini, dalla crisi alla rinascita: «La mia guerra contro i maligni adesso è finita»
di Mattia Marzi
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Mercoledì 4 Gennaio 2023, 10:08

«E pensare che io volevo fare l'autore per altri. Poi ci si rese conto che le mie canzoni cantate da altri non avevano la stessa intensità», racconta Marco Masini. Lunedì 9 gennaio il 58enne cantautore toscano chiuderà al Parco della Musica il lungo tour con il quale ha festeggiato il trentennale di carriera, partito con un anno di ritardo rispetto all'anniversario a causa delle restrizioni pandemiche. Sul palco, Masini oltre 7 milioni di copie vendute ripercorrerà le tappe principali della sua carriera, messe recentemente in fila anche nell'autobiografia L'altalena.

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Marco Masini, dalla crisi alla rinascita

La mia storia, pubblicata lo scorso autunno da Mondadori: dalla vittoria tra i giovani al Festival di Sanremo nel 1990 con Disperato ad oggi, passando per gli incontri più importanti, la crisi e la rinascita del 2004 con il trionfo all'Ariston de L'uomo volante.

Per la prima volta si è messo a nudo anche su un tema delicato: quelle maldicenze oscene sul suo conto. Racconta che nel 2001 una tv rispose al suo manager che «il pezzo è molto bello, ma il suo artista emana energie negative».

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Ha mai capito come nacquero quelle malvagità?
«Da un atto di goliardia di addetti ai lavori, poi quelle maldicenze girarono con insistenza. Cose del genere possono portare anche a gesti estremi: con Mia Martini accadde esattamente questo».


Come reagì?
«Mantenendo la lucidità. E aspettando che spazzasse via tutto. Non ho avuto bisogno di un analista: sono stato fortunato ad avere intorno a me persone che mi hanno guidato».


Una su tutte?
«Giancarlo Bigazzi, il mio storico produttore (è scomparso nel 2012, ndr). Mi ha dato gli strumenti giusti per poter affrontare un percorso così difficile».


E quali erano questi strumenti?
«La perseveranza, la determinazione e l'umiltà. Era un maestro riconosciuto come tale anche all'estero. Una volta negli Stati Uniti in uno studio di registrazione e nella sala accanto c'erano i Toto. Ci guardavano come se fossimo degli scappati di casa. Poi quando vennero a sapere che ero il suo pupillo, ci trattarono come persone di famiglia. Lo stesso fece il grande Quincy Jones».


Il leggendario produttore di Michael Jackson: dove lo incontrò?
«Nel 1992, a Budapest, in occasione di un evento durante il quale venivano consegnati dei premi ai cantanti più popolari in Europa. Dopo la mia esibizione me lo ritrovai davanti. Mi guardò in cagnesco: Sei italiano, ma hai una voce americana: hai sbagliato genere, buttati sul rock pesante, mi disse».


Ricorda cosa pensò la prima volta che vide un suo disco esposto in una vetrina?
«Sì. Era il 1990. Passai davanti alla Galleria del Disco a Firenze e vidi in vetrina un cartonato che promuoveva l'album di Disperato: io nemmeno mi rendevo conto di quello che stava succedendo».


Cioè?
«Oggi con le piattaforme digitali gli artisti si rendono conto immediatamente se un singolo funziona o no, in base alle visualizzazioni. All'epoca bisognava aspettare le rendicontazioni settimanali della casa discografica, con il numero di copie effettivamente vendute e di quelle tornate indietro. Il primo album vendette 810 mila copie, il secondo 1,2 milioni».


Numeri che oggi sembrano appartenere a un'altra era, non trova?
«Già. Ma che io ho vissuto da testimone diretto. E che continuo a far riviere nei miei concerti, cantando tutte le mie hit di quegli anni, da Ci vorrebbe il mare a T'innamorerai, passando per Bella stronza».


Nell'era del politically correct potrebbe riscriverla, quella canzone?
«Sì. Ma forse non verrebbe accettata. Pazienza: io la rifarei così come la scrissi all'epoca. È una canzone d'amore, non di odio: Di questo nostro amore così tenero e pulito non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza, cantavo».


Auditorium Parco della Musica, via Pietro de Coubertin 10.
Lunedì 9, ore 21.

 

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