Mahmood: «Mio padre mi abbandonò a 5 anni. Il coming out? Per me non è indispensabile»

"Mahmood", il film-documentario diretto da Giorgio Testi è stato presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma

Mahmood: «Mio padre mi abbandonò a 5 anni. Il coming out? Per me non è indispensabile»
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Sabato 15 Ottobre 2022, 06:46 - Ultimo aggiornamento: 07:10

Sul palco indossa tute e occhiali spaziali, come se fosse un guerriero uscito da un manga giapponese. Mai una crisi, un momento di sconforto. Solo trionfi. «Noi non riprendiamo falsità, ma solo vita reale», dice lui guardando la telecamera, prima di un concerto. In Mahmood, il film-documentario diretto da Giorgio Testi, che è stato presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma e arriverà nelle sale solo per tre giorni dal 17 al 19 ottobre (poi su Prime Video), l'unico momento in cui il 30enne cantautore milanese due volte vincitore del Festival di Sanremo sembra lasciarsi andare, bloccandosi anche per l'emozione, è quando parla del padre Ahmed. Alessandro è il suo vero nome aveva solamente 5 anni quando se ne andò di casa, tornando in Egitto e facendosi un'altra famiglia. Quel mancato rapporto è al centro dei conflitti che il cantautore, cresciuto solo con la madre Anna, sarda di Orosei, nel quartiere Gratosoglio a Milano, avrebbe risolto con la musica: «A volte cerco di offuscare i ricordi del passato. Il documentario in questo senso è stato terapeutico, mi ha aiutato a mettere dei puntini su certi momenti», racconta lui.


Cosa ricorda del giorno in cui se ne andò?
«Mi regalò una famiglia di orsacchiotti di peluche.

Uno ce l'ho ancora nella casa di mia mamma in Sardegna. È strano da dire, ma è come se io non avessi più sentito la mancanza. Mamma mi portò dallo psicologo».


Perché?
«Mi estraniavo, psicologicamente e non solo. Mi chiudevo nello sgabuzzino di casa».

 


Lo psicologo cosa disse?
«Che non avevo problemi. Forse era semplicemente un modo per proteggermi. Oggi quello sgabuzzino sono diventate le mie canzoni».


Se non fosse stato per quell'abbandono doloroso, oggi farebbe la popstar?
«Me lo chiedo spesso. Di sicuro non avrei scritto Gioventù bruciata, con la quale vinsi Sanremo Giovani nel 2018. Davanti a Pippo Baudo urlai in diretta: Porca tr.. Parlava di papà, che in macchina mi faceva ascoltare canzoni arabe».


E Soldi?
«Anche. La scrissi nel 2018 dopo uno dei nostri ultimi incontri. Con il successo di Nero Bali firmai il mio primo contratto da autore. Quella volta ebbi la sensazione che il suo interesse nei miei confronti riguardasse in realtà qualcosa di più materiale».


Sua mamma dice nel film che tutto quello che sa di lei, lo ha scoperto con le canzoni. È così?
«Sì. Solo crescendo ho imparato ad abbracciare, a dare baci, a mostrare il mio affetto. Per dirle che le volevo bene le ho dedicato T'amo, nel mio ultimo disco».


Lo fa chi fino a quel momento si è nascosto, io sono sempre stato così, ha detto in un'intervista al Il Venerdì, parlando del coming out. Cosa voleva dire?
«Quello che ripeto da anni: per me il coming out non è indispensabile. Mi sono sempre raccontato attraverso canzoni e video. Ora c'è questo documentario, che aggiunge un tassello. Non c'è dell'autocelebrazione. Non mi piace la mia faccia, non mi piace la mia voce: mi è servito per accettarmi per quello che sono».

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