​Luca Di Bartolomei, il figlio di Agostino: «Ho accettato il suo suicidio. E solo ora riesco a chiamarlo papà»

Il racconto del figlio dello storico capitano della Roma, che si uccise nel decimo anniversario della sconfitta contro il Liverpool

Luca Di Bartolomei, il figlio di Agostino: «Ho accettato il suo suicidio. E solo ora riesco a chiamarlo papà»
3 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Marzo 2023, 10:38 - Ultimo aggiornamento: 10:47

Luca lo ha sempre chiamato Agostino e non papà. Perché per la morte di Di Bartolomei, storico capitano della Roma campione d'Italia nel 1983 e suicidatosi a dieci anni dalla finale persa contro il Liverpool, ha sempre vissuto un profondo senso di colpa. «Perché non sapevo come reagire a ciò che avvertivo come un rifiuto da parte di Agostino. Lui si è ucciso nonostante avesse me, oltre mia madre e mio fratello, e dunque pensai che dovessi avere anch’io una parte di responsabilità», ha raccontato in un'intervista al Corriere della Sera. Solo di recente Luca ha avuto la forza di andare a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno, sulla tomba del padre, che il 30 maggio del 1994 si sparò al petto proprio sul terrazzo della casa di famiglia. «Questo gesto è riuscito a svegliarmi, a liberarmi da un senso di colpa che non doveva appartenermi ma mi ha accompagnato per quasi ventinove anni», spiega Luca. «Credo che Agostino sia la rappresentazione del potenziale fallimento che interroga tutti, e di fronte al quale rimaniamo senza parole o senza fiato. Per questo quel suo gesto lo ha trasformato in un piccolo fenomeno collettivo».

Lo ha sempre chiamato Agostino, e non papà: «Perché fino ad ora l’incapacità di capire come vivere questa vicenda ha provocato una rabbia che ha eretto una specie di muro tra me e lui.

Quasi invalicabile. Invece da simili esperienze bisognerebbe imparare ad avere la forza di accettare le proprie fragilità e non provare sempre a superarle spingendosi oltre; riempire ogni cosa di significati va bene, ma va bene anche non avere l’ansia di riempirle ad ogni costo perché altrimenti manca qualcosa».

 

 

Luca Di Bartolomei e il racconto del 30 maggio 1994

«Il 30 maggio è papà che scende dalla stanza dove dormiva con mamma e infila qualche moneta nella tasca dei miei pantaloni appesi alla ringhiera della scala - il racconto di Luca Di Bartolomei al Corriere della Sera -. Io lo vedo perché ero già sveglio, e quando entra in camera per salutarmi mi chiede se voglio andare con lui a Salerno. Io rispondo di no perché avevo una prova di latino a cui non volevo rinunciare. Poi mi vesto, preparo lo zaino, papà s’era seduto in terrazza al sole che batteva già alto, gli do un bacio. Vado a scuola. Dopo circa un’ora, con molto tatto, mi hanno avvisato di quello che era accaduto e sono tornato casa. Ago era già nella bara di zinco».

© RIPRODUZIONE RISERVATA