Luca Barbarossa: «Negli '80 non arrivavo a fine mese. “Un medico in famiglia”? Dissi no»

Parla il cantautore e conduttore: «Mi hanno offerto tanti ruoli ma non sono un attore. La mia ossessione? Giocare a scacchi sul web con gli sconosciuti. E poi anche a padel»

Luca Barbarossa: «Non arrivavo a fine mese, ma rifiutai di girare Un medico in famiglia »
di Andrea Scarpa
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Sabato 24 Settembre 2022, 22:22 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 21:50

Musica e puttanate. Questi gli ingredienti che Renzo Arbore consigliò a Luca Barbarossa, dodici anni fa, per la buona riuscita della prima stagione di Radio2 Social Club, il popolare programma radiofonico appena tornato su Rai Radio2 (va in onda dal lunedì al venerdì, a partire dalle 10.30). Come sempre, al fianco del cantautore e conduttore romano, c’è l’esilarante Andrea Perroni, 42 anni, anche lui romano e di sicuro titolare della seconda parte del suggerimento. 

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Arbore non sbaglia mai?

«Il Maestro ha sempre ragione. Noi siamo dispensatori di leggerezza. Il nostro è un club dove ridere, incontrare gente interessante e fare musica».

Dodici anni fa per lei la radio fu un Piano B perché con la musica le cose non andavano tanto bene, c’era la crisi della discografia, i dischi non si vendevano più?

«La crisi c’era, ma non ho mai pensato che il Social Club potesse sostituire la mia attività principale. E all’epoca mai avrei pensato a uno sviluppo del genere per il nostro show: prima in onda nel weekend, poi ogni giorno, la tv, gli speciali, i social...».

L’omaggio a “Buena Vista Social Club”, il film di Wim Wenders è un’idea sua?

«Mia e di Valentina Amurri, autrice che per anni mi ha spinto a fare un programma così». 

Aveva fatto altre esperienze in radio?

«Solo una rubrica in Tornando a casa di Radio1 con Enrica Bonaccorti. Raccontavo i retroscena delle canzoni famose».

La cosa più importante che ha capito in questi anni con il Social Club?

«Quando scrivo canzoni mi isolo, in radio invece ho scoperto il valore della squadra. E la musica aiuta sempre, quasi sempre».

Qualche ospite ha fatto resistenza?

«Solo quelli che fanno musica ma non sono musicisti. Gli altri sentono che siamo professionisti e si lasciano andare.

James Taylor è entrato che doveva fare un pezzo chitarra e voce, ne ha cantati sei con la nostra band. Tony Hadley, ex Spandau Ballet, non voleva più andar via».

Adesso si sente più conduttore o cantautore?

«Mi sento un artista fortunato che grazie alla radio è riuscito a farsi conoscere meglio dal pubblico. Quando uno canta e basta c’è il rischio che chi ascolta possa idealizzarti un po’. Parlando viene fuori tutto, anche la parte cazzara». 

Quindi in passato è stato equivocato?

«A volte. Da giovane, quando arrivai primo in classifica, la discografia voleva trasformarmi nel nuovo Miguel Bosé quando io sognavo di fare Bob Dylan. Fare l’idolo delle ragazzine non era roba per me. Infatti non andavamo tanto d’accordo, io e i discografici».

E quando nel 1998 le offrirono di interpretare il personaggio del Dottor Lele in un “Medico in famiglia”, serie di Rai1 di enorme successo, come andò?

«Chi gliel’ha detto?».

Come andò?

«Rifiutai cortesemente (alla fine il ruolo fu preso da Giulio Scarpati, ndr). E non ha idea di quante altre offerte mi siano arrivate in tutti questi anni. Ma recitare non è il mio mestiere, a stento riesco a fare me stesso. E poi amo troppo il cinema. Io al massimo potrei scrivere qualcosa per il cinema».

L’anno scorso, per i suoi 60 anni, ha pubblicato “Non perderti niente”, un romanzo autobiografico: per caso diventerà un film o una serie?

«Per ora, no. Ma nei miei concerti racconto tanto di quello che ho messo nel libro. In fondo canto perché scrivo, non avrei mai fatto l’interprete».

Pubblicherà ancora?

«Sì, ma stavolta uscirò dalla mia vita. Sarà un romanzo di genere sci-fi (abbreviazione di science fiction, ndr) e spero possa diventare una serie o un film. Mi piacciono le storie distopiche in cui il futuro è già qui. Tipo catastrofi climatiche, inquinamento dei mari, plastica ovunque... Adesso, però, è presto per parlarne».

Visti i periodi di alti e bassi ha mai pensato di mollare?

«No, mai. Ho sempre pensato che avrei potuto fare solo questo. Sapendo che avrei potuto avere anche momenti difficili. Che ho avuto».

Si riferisce a quando faticava ad arrivare a fine mese?

«Sì. Fra l’81 e l’86, dopo il primo Sanremo, le cose non giravano benissimo e con i soldi stentavo a pagare l’affitto. È stata dura, ma la passione aiuta sempre».

A proposito di soldi, adesso come li investe?

«Sono una frana. Non sperpero, ma è meglio se ci pensa mia moglie. E poi siamo una famiglia numerosa e impegnativa».

Tanti suoi colleghi comprano case da tutte le parti

«Noi viviamo a Roma, in una bella casa, in affitto da 41 anni. Il mio investimento è vedere i figli felici e sostenere i loro sogni».

Il figlio surfista che vive in Portogallo ha finito gli studi?

«Si è laureato in Economia a marketing e adesso, con il suo primo contratto, potrebbe andare in Cina o in America. Gli altri due figli studiano a Roma».

È stato nove volte al Festival di Sanremo: quest’anno farà cifra tonda?

«Mai dire mai. Su quel palco, però, bisogna avere qualcosa da dire. Di sicuro ospiterò tutti i giovani».

Nel libro ha scritto di aver sofferto molto per l’ansia: oggi?

«Ormai ci esco a cena insieme (ride). Vado in onda e sul palco con gioia, una volta no. Ero sempre molto preoccupato. La vecchiaia serve anche a questo».

I 60 anni hanno lasciato il segno?

«A padel dico ancora la mia». 

Ha mollato il tennis?

«Cerco campi sempre più piccoli...». 

A pregiudizi come sta messo?

«Bene. Grazie alla radio, meglio di prima. Il mio è un ambiente dove ci si conosce superficialmente. Ci si incontra, ci si saluta, vediamoci... Con il Social Club ho avuto la possibilità di conoscere meglio tanti colleghi».

Chi l’ha sorpresa?

«Tutti dicono che Francesco De Gregori abbia un carattere molto difficile. Da stronzo. Da noi è venuto spesso ed è sempre stato generoso, facendo canzoni come Una carezza in un pugno di Adriano Celentano, Non dimenticare le mie parole del trio Lescano, Pietre di Antoine. L’ultima volta, ridendo, mi ha detto: “Mi fate diventare troppo buono”. A volte certe voci sugli artisti girano con insistenza ma non sono vere. Magari uno ha solo detto che non vuole fare certe cose».

A lei è mai capitato?

«Certo. Quando in tv provano a farti fare di tutto...».

Tipo?

«Uno ha una canzone drammatica da presentare e gli chiedono di fare il giochino. Roba così». 

È vero che online gioca in maniera ossessiva a scacchi?

«Sì, sono malato. Sono una pippa, ma gioco con altri squinternati come me di tutto il mondo. Gli avversari me li sceglie l’algoritmo».

Social Club potrebbe davvero sbarcare in tv, in seconda serata? 

«Perché no? Ci vorrebbe un’azienda, però, qualcuno che decida. In Rai cambia tutto ogni mese e nessuno si prende responsabilità. Quest’estate in tv, su Rai2, con il Best of delle puntate dell’anno abbiamo fatto il 4,26 di media, a volte il 6. Alle 8.50 del mattino».

Ha scritto che da giovane era sempre pronto a ribellarsi: oggi?

«Non sono cambiato, credo sempre nelle stesse cose: solidarietà, rispetto, memoria. Ma si nasce incendiario e si muore pompiere».

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