Tina Turner, Loredana Bertè: «Ci siamo conosciute in ascensore grazie a una giacca. Era una sopravvissuta, come me»

La cantante ricorda il suo incontro con la “regina del rock”: «Era il 1984, a Riva del Garda. Indossava un giubbotto del designer Alaïa, che era mio amico. E volle venire a Milano con me per conoscerlo»

Loredana Bertè: «Tina Turner? Una sopravvissuta, come me. Ecco come ci siamo conosciute»
di Mattia Marzi
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Venerdì 26 Maggio 2023, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 11:00

La foto che le ritrae insieme, condivisa ieri dalla voce di Non sono una signora sui social per ricordare la grande Tina Turner, scomparsa mercoledì a Zurigo a 83 anni dopo una lunga malattia, fu scattata a Milano quasi quarant’anni fa. Era il settembre del 1984. Loredana Bertè e Tina Turner si erano conosciute pochi giorni prima a Riva del Garda. Alle due leonesse era bastato annusarsi a vicenda pochi secondi per riconoscersi simili, e non solo per la voce, caratterizzata da quel graffio che aveva reso Tina Turner la “regina del rock’n’roll” e Loredana Bertè una sorta di sua corrispettiva italiana. Anche se una, Tina, era nata a Brownsville, nel Tennessee, dall’altra parte dell’Atlantico, undici anni prima dell’altra, Loredana, che era nata invece a Bagnara Calabra, un ex borgo marinaro bagnato dal mar Tirreno. «Non dimenticherò mai quell’incontro e i giorni passati a Milano insieme ad Azzedine», dice Loredana Bertè.

Mi perdoni, ma chi è Azzedine?
«Azzedine Alaïa, naturalmente.

Uno dei designer più famosi e influenti della storia della moda (è scomparso nel 2017, ndr)».

E che c’entra con lei e Tina Turner?
«Se io e Tina cominciammo a parlare, nell’ascensore dell’hotel a Riva del Garda, fu grazie a un giubbotto disegnato da Alaïa che lei indossava. Nessuno lo conosceva. Tranne me e Cesare Zucca, che in quel periodo mi faceva da stylist, prima di andare a Los Angeles a lavorare per Madonna».

Facciamo un passo indietro. Cosa ci facevate entrambe a Riva del Garda, in quel settembre del 1984?
«Eravamo entrambe ospiti a un festival che era uno degli appuntamenti fissi della musica dal vivo dell’estate, la Vela d’oro. Si svolgeva a settembre, alla fine della stagione, per premiare i successi dell’annata. Tina Turner stava promuovendo la sua hit What’s Love Got To Do With It?. All’epoca accadeva spesso che le star della musica mondiale venissero in Italia a fare promozione. Era già uscito l’album Private Dancer, un successo commerciale immediato che diede a Tina quel che era di Tina. L’anno successivo avrebbe vinto tre Grammy Awards grazie a What’s Love Got To Do With It?. Io, invece, quell’anno alla Vela d’oro mi esibivo con Ragazzo mio e Una sera che piove per promuovere Savoir Faire, il terzo album della trilogia scritta e prodotta da Ivano Fossati dopo Traslocando dell’’82 e Jazz dell’83».

Così vi trovaste insieme in ascensore. E lei attaccò bottone parlando del giubbotto di Alaïa. E poi?
«Lei era con il suo manager di allora. Quando le nominai Azzedine Alaïa, Tina sgranò gli occhi: “Come fai a conoscerlo?”, mi chiese. Le risposi: “Se sa che ti sei messa un suo giubbotto, diventa matto”. “No, divento matta io”, ribatté lei. Quando le dissi che potevo metterli in contatto, impazzì di gioia».

Alaïa lei quando lo aveva conosciuto?
«Durante un viaggio che avevo fatto un po’ di tempo prima a Parigi. Eravamo diventati amici».

Con Tina come andò?
«Quella sera in ascensore chiese subito al manager: “Tra quanto sarò libera da tour e promozione?”. E quello: “Credo tra non meno di due anni”. Allora si girò verso me e Cesare: “Quando andate a Milano?”. Saremmo partiti due giorni dopo. “Vengo con voi”, rispose».

E lo fece?
«Eccome. Partì con noi. Una volta a Milano, io e Cesare chiamammo Azzedine. Da quel momento in poi Alaïa vestì solo Tina Turner, mollando pure Grace Jones, che aveva consigliato fino ad allora e che non la prese benissimo (ride)».

In cosa Tina Turner è stata per lei una fonte di ispirazione?
«Per il suo vissuto. La sua grinta. Il suo stile. E poi per la sua capacità di reinventarsi sempre. Era un’araba fenice come me. Una sopravvissuta. Era la quintessenza del rock. Non a caso la soprannominarono la “regina del rock’n’roll”: ne aveva tutte le caratteristiche».

Quali?
«Quella voce potente e graffiante, da far invidia. E poi l’energia e la sensualità, oltre ad una personalità esplosiva. È stata una grande fonte di ispirazione per tutte noi come artista e come donna. Un talento fuori dal comune: simply The Best».

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