Kissinger compie 100 anni, il sacerdote della politica estera Usa: «La terza guerra mondiale è vicina»

Dal suo ufficio al 33° piano di un grattacielo di Manhattan dà ancora consigli a capi di stato, premier, dittatori e monarchi sulle cose del mondo e su come evitare il terzo conflitto

Kissinger compie 100 anni, il sacerdote della politica estera Usa: «La terza guerra mondiale è vicina»
di Vittorio Sabadin
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Venerdì 26 Maggio 2023, 06:34 - Ultimo aggiornamento: 27 Maggio, 09:00

Henry Kissinger compie 100 anni e nessun essere vivente ha più esperienza di lui negli affari internazionali. Dal suo ufficio al 33° piano di un grattacielo di Manhattan dà ancora consigli a capi di stato, premier, dittatori e monarchi sulle cose del mondo e su come evitare la terza guerra mondiale. I suoi nemici dicono che non c'è nulla da celebrare: è stato solo abile nel riconoscere i cambiamenti in corso e nel muoversi per favorire gli Stati Uniti, e il suo modello di politica estera non ha mai rispettato i valori etici, come la democrazia e i diritti umani, sui quali si era basato il consenso conquistato dagli americani nel mondo. L'innocenza dell'America è finita negli otto anni in cui è stato Segretario di Stato di Richard Nixon e Henry Ford, quando la realpolitik ha prevalso su ogni altra considerazione.
Nato il 27 maggio 1923 a Fürth, una cittadina della Baviera, da genitori ebrei, Kissinger lasciò la Germania nel 1938 con la famiglia perché non avrebbe potuto continuare gli studi. Avrebbe voluto giocare a calcio, era anche bravo, ma neppure quello era possibile per un ebreo. Andarono a Londra e poi in America, dove si laureò ad Harvard. Era sveglio, intraprendente, pieno di idee. A vent'anni ottenne la cittadinanza e poiché parlava il tedesco, lo arruolarono nell'esercito e lo mandarono nelle Ardenne. Una volta conquistata la cittadina di Krefeld gliela diedero da amministrare, e lo fece molto bene. La madrelingua gli valse un ruolo nel controspionaggio e la vicinanza alle agenzie, che sono utili quando si torna a casa dalla guerra. Puntava a diventare un agente del FBI, ma non si fidavano. Cominciò a occuparsi di affari internazionali, a scrivere, a dare consigli richiesti e non richiesti. Piaceva. Ebbe storie con celebrità famose, tra le quali si elencano Diane Sawyer, Candice Bergen, Shirley Maclaine, Liv Ullman. Spiegava che in politica estera conta la legittimità, che non va confusa con la giustizia. Si può fare anche qualcosa di ingiusto, come la spartizione della Polonia dopo il congresso di Vienna del 1815, ma se gli altri stati sono d'accordo l'ingiustizia diventa legittima.

 

L'AMICIZIA CON NIXON

Conobbe Richard Nixon nel 1967 e lo definì «l'uomo più pericoloso mai candidato alla presidenza». Ma cambiò presto idea e lo aiutò a vincere le elezioni del 1969. Scoprirono di integrarsi a vicenda: Kissinger era intelligente, internazionale, brillante. Nixon era il classico americano pragmatico. Li univa una caratteristica comune: un'insaziabile ambizione.
Nominato Segretario di Stato, Kissinger avviò con la Russia una politica di deterrenza, e con la Cina un riavvicinamento che aveva l'obiettivo di creare un'alleanza anti-sovietica.

Ma c'era il problema della guerra del Vietnam ancora da risolvere. A lui di quel piccolo stato del sud est asiatico importava poco, ma si rendeva conto che se gli americani lo avessero abbandonato i loro alleati nel mondo avrebbero pensato di poter fare un giorno la stessa fine. Fu Kissinger, per accelerare le cose, a consigliare di bombardare la Cambogia, dalla quale partivano i raid nemici. Gli americani sganciarono sul paese più esplosivi di quelli usati in tutta la Seconda guerra mondiale, causando migliaia di vittime tra i civili. Trattò poi la fine del conflitto con il leader nord vietnamita Le Duc Tho e a entrambi, nel 1973, venne assegnato il Nobel per la pace. Le Duc Tho lo rifiutò, Kissinger lo accettò «con umiltà», tra mille polemiche.


Nel novembre del 1972 diede un'intervista alla giornalista Oriana Fallaci, pentendosene poi amaramente. Disse che la guerra in Vietnam era stata «inutile», e che a lui non importava nulla del giudizio o dell'approvazione della gente. Si sentiva come un cow-boy dei film western, «che entra in città da solo con il suo cavallo; è senza pistola, ma agisce trovandosi nel posto giusto al momento giusto». Dopo l'intervista, Nixon non lo volle più vedere per settimane. Kissinger andò al suo ranch per fare pace, ma il presidente lo fece allontanare dalla sicurezza. Come solitario cow-boy, Kissinger favorì la presa del potere del generale Videla in Argentina e non si oppose all'eliminazione di migliaia di oppositori della giunta militare. Appoggiò anche il golpe di Augusto Pinochet in Cile, che rovesciò, uccidendolo, il presidente eletto Salvador Allende. Non fece nulla per fermare il massacro dei bengalesi da parte del Pakistan nel 1971, che causò tre milioni di vittime e lo stupro di 400 mila donne. In una conversazione, definì la premier indiana Indira Gandhi una strega e una puttana. In un'altra conversazione, con Nixon, dopo un incontro con la premier israeliana Golda Meir, sostenne che l'emigrazione degli ebrei dalla Russia non era un obiettivo della politica americana, e che «se i russi mettessero gli ebrei in una camera a gas, questo non dovrebbe essere un problema americano, ma un problema umanitario».
Kissinger si è pentito di molte cose che ha detto e fatto, e ha spesso chiesto scusa. Ma chissà come sarebbe il mondo oggi se lui non ci fosse stato. Forse avremmo avuto una guerra nucleare, forse l'intera America del Sud sarebbe stata indottrinata dai comunisti cubani aiutati dai sovietici, l'URSS esisterebbe ancora, Israele sarebbe stata spazzata via da un'alleanza di stati arabi. È probabile che la speranza che la politica estera possa avere un'etica sia solo un'illusione, e che la realpolitik sia l'unico modo di fare andare avanti il mondo. Ma Kissinger, anche ora che ha 100 anni, continua a dare consigli, a scrivere libri, a partecipare a conferenze. Dice che bisogna smettere di illudersi che la Cina si occidentalizzi e che l'America deve dialogare pazientemente con Pechino. Dice che la Russia non potrà mai accettare di essere sconfitta e quindi bisogna cercare la pace con l'Ucraina, trovando il modo di fare rientrare Mosca nel contesto internazionale. Pensa anche che la terza guerra mondiale non è mai stata così vicina. Speriamo che siano le nebbie dell'età, ma non è detto.

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