Viveva nella sua Roma come se l'avesse sempre in saccoccia, pronta all'uso: una cartina perfetta che conteneva il dialetto nobile della città eterna, da Pascarella a Trilussa, da Petrolini alle irriverenti pasquinate. La storia della metropoli, che «non è più quella di una volta, ma c'è sempre tempo per sperare», la raccontava tra poesia e stornelli in rima baciata. E in tasca aveva anche, sempre, il suo giornale, Il Messaggero.
La sua difesa del romanesco era ferrea, indistruttibile, come l'amore per le tante maschere di una romanità che abbracciava vecchio e contemporaneo. Proprio sul nostro giornale, Gigi ha tenuto per 15 anni, a partire dal 1° marzo 2000, una preziosa rubrica di sonetti, i cosiddetti Versacci, che spesso inviava dalla sua casa ma a volte era proprio lui a portarli in redazione, con quell'eleganza timida che pian piano diventava risata, battuta, ricordo, confidenza.
La nostra collega scomparsa, titolare per decenni della critica teatrale, Rita Sala, la chiamava Core mio e per noi redattori e amici appena sbucava dal corridoio, iniziava la festa. Scriveva di Er vero, er farzo, er finto, o del Derby di 2500 anni fa o ancora Roma è na sintesi fino al ricordo di Sordi, intitolato semplicemente Ad Alberto, come si addice alle dediche destinate a chi fa parte della tua anima.
Gigi Proietti, l’ottavo re che incarnava la civiltà bella della Capitale
Guai a chiamarlo maestro, lanciava un'occhiataccia.
PROGETTI
E lui seguì il consiglio. Parlava di progetti, come la creazione di quella che avrebbe voluto chiamare Radio Raccordo Anulare: «Perché i romani devono conoscersi, non isolarsi. C'è bisogno di contatto» diceva. E l'idea era di metterla in mano ai giovani, come il Globe Theatre a Villa Borghese. Era fiero di vedere «tutti questi ragazzi che, a prezzo ridotto, sono riuscito a portare a teatro a seguire Shakespeare». Anche a Bruno Palmieri, aveva regalato l'aria sorniona e il disincanto del romano verace. Il giornalista custodiva un segreto: aveva una pallottola vicino al cuore. Tanti anni prima qualcuno gli aveva sparato alle spalle. Cercare di rimuoverla sarebbe stato rischioso. Oggi, ripensando a quel cuore malandato che s'è portato via Gigi, quella pallottola assume un significato particolare. Il suo camerino era spesso improvvisato: una volta si cambiò d'abito proprio all'entrata del Messaggero, sulla destra, davanti alla collezione dei giornali. Un nobile spirito libero: «Che c'avete da guardà?», rideva. Ed era già spettacolo.