Gazzelle e il crollo psicologico: «Gli ultimi 2 anni sono stati tormentati. Con questo album racconto le voci nella mia testa»

L'artista 33enne presenterà il 9 giugno il suo primo concerto allo Stadio Olimpico a Roma

Gazzelle e il crollo psicologico: «Gli ultimi 2 anni sono stati tormentati. Con questo album racconto le voci nella mia testa»
di Mattia Marzi
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Domenica 28 Maggio 2023, 07:38 - Ultimo aggiornamento: 08:49

Sulla copertina c'è una voragine che si apre in un bel prato all'inglese, la stessa di cui il 33enne cantautore romano canta in Qualcosa che non va, il primo dei dodici brani del nuovo album Dentro, appena uscito (venerdì ha debuttato al quarto posto della classifica settimanale Fimi/Gfk dei più venduti in Italia). È una metafora del crollo psicologico di cui Gazzelle racconta di aver sofferto negli ultimi mesi, esorcizzato in un disco - contenente un duetto con thasup su Quello che eravamo prima, uno con Fulminacci su Milioni e uno con l'icona rap Noyz Narcos su Roma - che Flavio Pardini, questo il vero nome del cantautore più introverso del circuito indie (quello d'arte è un omaggio a un modello di scarpe), presenterà il 9 giugno con il suo primo concerto allo Stadio Olimpico: «È il mio disco più intimo - spiega - faccio entrare davvero chi mi ascolta dentro di me».

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Cosa racconta?
«Che le apparenze ingannano.

In superficie sembra che sia tutto ok. Ma in fondo, come canto nella canzone che apre l'album, "qualcosa non va"».


E cos'è che non va?
«Non l'ho capito. Non c'entra la depressione. È una cosa seria e non me la sento di toccare un argomento delicato, anche perché nessuno me l'ha mai diagnosticata. Però gli ultimi due anni sono stati tormentati, per motivi anche privati».

 


E le voci nella testa di cui canta in "È andata come andata?"
«Sono paranoie che spesso invadono la mia testa. Ho imparato a convincerci: le esorcizzo con la musica».


Ha sentito il bisogno di rivolgersi a uno specialista?
«Sì, ma non è andata bene. Non sapevo come aprirmi. Allo psicologo avrei voluto scrivere una canzone: è l'unico modo che conosco per raccontarmi».


«È tutto a posto, anche se ora ha un costo», canta. Il peso del successo invece c'entra qualcosa?
«Nelle canzoni esaspero le cose. All'inizio mi ha travolto, poi mi sono adattato».


In che misura "Dentro" racconta la sua crescita?
«Esploro nuove sonorità. È un disco a tratti anche gospel, pieno di cori e pianoforti. Penso di essere maturato anche nei testi: per un cantautore sono la cosa più importante».


Si sente più un cantautore da Premio Tenco o da Festival di Sanremo?
«Sto nel mezzo. Sono un cantautore pop, non snob. Non mi piace stare sul piedistallo: parlo a tutti».


Amadeus ha iniziato a incontrare i potenziali big di Sanremo 2024: si è mai fatto vivo?
«Non direttamente. Ma dal suo staff hanno manifestato interesse nei miei confronti. Prima o poi a Sanremo voglio andarci. Chissà».


L'immagine della «Roma blu» di cui canta nel duetto con Noyz Narcos dedicato alla città a cosa è ispirata?
«Al cielo di Roma. Che ti fa stare in pace con te stesso. Roma è come una donna un po' stronza, ma bellissima: ne racconto il lato malinconico. Noyz con i suoi versi mi ha fatto un regalo».


La canterete all'Olimpico, il 9 giugno?
«Vediamo. Vorrei tenermi le sorprese per quella sera».


Non ha un po' di timore reverenziale ad esibirsi nello stadio della sua città?
«Sì. Prima o poi doveva succedere, però. I 23 mila biglietti venduti l'anno scorso a Capannelle mi hanno dato coraggio. A Roma ho iniziato dai baretti, poi i club, l'Auditorium, il Rock in Roma. All'Olimpico ho visto Vasco, Liga, Ed Sheeran. Il mio concerto lo immagino unico, intimo. Come se fossimo a casa mia. Anche se in 50mila».


Non ha mai nascosto la sua fede giallorossa: la partita più emozionante vista all'Olimpico?
«Non ce n'è una in particolare. Il calcio mi piaceva più quando ero piccolo. Quando hanno smesso Totti prima e De Rossi poi, due simboli, è finita un'era».


Ora c'è Dybala. La Joya ha riacceso la sua passione?
«Un po' sì. Come lui anche Mourinho. Dybala rappresenta un pizzico di poesia in un calcio, quello moderno, che è troppo fisico e che lascia poco spazio alla fantasia».

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