C'è ancora la tv in bianco e nero quando Giampiero Galeazzi inizia a diventare il Bisteccone nazionale. E' il 30 maggio 1976, Adriano Panatta ha appena battuto Guillermo Vilas nella finale degli Internazionali d'Italia e in campo è soffocato dagli abbracci di Mario Belardinelli e di un nugolo di affezionati. Galeazzi piomba lì nel mucchio, telecamera al seguito, e tagliando fuori anche Gianni Minà, che sta cercando di parlare con Panatta, si prende il vincitore tutto per lui, gli rivolge le classiche domande a caldo a cui il protagonista risponde confusamente, ancora provato, ma sono emozioni autentiche, le più spontanee. Nasce lì il metodo-Galeazzi, che poi verrà replicato sui campi e negli spogliatoi della serie A, e che lo renderà popolarissimo.
SODALIZIO
Ma quello con Panatta sarà un sodalizio che andrà oltre, perché oltre a seguire la squadra azzurra in Coppa Davis (ma non nella vittoria in Cile: all'epoca la Rai inviò solo giornalisti della radio, nessuno della tv) anche quando Adriano ne sarà il capitano non giocatore, Galeazzi formerà con lui una coppia affiatatissima di telecronisti, agli Internazionali d'Italia come a Wimbledon, per molti anni.
Panatta ora ricorda: «Erano telecronache forse meno tecniche e schematiche di quelle di oggi, sicuramente molto più umane, come era lui. Giampiero era la parte professionale della coppia, perché si documentava in modo pazzesco, era preparatissimo e sapeva tutto già prima di arrivare in postazione. Io a volte lo facevo sbagliare apposta: quando si avventurava in qualche disquisizione tecnica, lo contraddicevo per vedere come andava a finire, lui allora cambiava versione perché era bravissimo a parlare poi quando non ci sentiva nessuno gli spiegavo lo scherzo, e giù risate. Eravamo molto amici. Con lui ho soltanto ricordi allegri e divertenti. Trasferte in tutto il mondo, mangiate avventurose, risate, tanto tennis visto e vissuto insieme, un sacco di prese in giro tra noi. Gli volevo bene. Sapevo che negli ultimi tempi la sua salute andava declinando, ci sentivamo spesso».
VITA INSIEME
Anche Nicola Pietrangeli era legatissimo a Giampiero Galeazzi. Uniti dal tennis, certo, per via delle imprese dell'Italia in Coppa Davis, ma anche dalla comune passione per la Lazio, e per l'appartenenza al Circolo Canottieri Roma, che ieri ha tributato a Galeazzi un saluto con i suoi canottieri, a remo alzato nell'acqua e al grido di Galeazzi, hip hip hurrà. Pietrangeli si trova in questi giorni a Milano per assistere alle Next Gen Finals.
E' molto scosso per la notizia della morte dell'amico, non ha voglia di lanciarsi in discorsi particolari: «Lo conoscevo da quando era ragazzino, capitemi l'ho seguito fin dai suoi primi passi nel mondo del giornalismo, poi ci siamo visti per una vita. In casi simili, scusatemi, ma c'è veramente poco da aggiungere, da dire. In certi casi resta solo il silenzio, l'assenza di parole, perché non servirebbero a niente. Abbiate pazienza». Due anni e mezzo fa, il 18 maggio del 2019, nel giorno del compleanno di Giampiero Galeazzi e nell'anno del centenario del Canottieri Roma, il Circolo aveva intitolato a Giampiero e a suo padre Rino (che era stato allenatore dei canottieri), il galleggiante, ossia il quartier generale. Alla cerimonia aveva assistito anche Nicola Pietrangeli, e Galeazzi aveva partecipato da par suo, arrivando a bordo di un battello.
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