Francesca Lo Schiavo: «La vita è sogno se vinci l’Oscar e ami gli altri»

La scenografa romana vincitrice di tre statuette all’Academy: «Il successo è una cosa aleatoria, l’importante è il riconoscimento per i lavori fatti bene, come riuscire a rispettare il budget per il kolossal “The Aviator”»

Francesca Lo Schiavo: «La vita è sogno se vinci l’Oscar e ami gli altri»
di Paolo Graldi
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Giovedì 4 Maggio 2023, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 06:28

Un sorriso magnetico, contagioso, misurato: è la finestra su un carattere dolce e insieme determinato, volitivo, sorretto da uno straordinario talento. Gioie, delusioni, fatiche ma soprattutto successi personali di dimensioni mondiali. Francesca Lo Schiavo, tre volte premio Oscar per la scenografia e un palmarès unico è, insieme con il marito Dante Ferretti, 80 anni, anche lui tre premi Oscar, una gloria per il cinema. Da Fellini a Scorsese passando per la Cavani, Dino Risi, Ferreri, il racconto delle sue esperienze con i grandi registi è ricco di emozioni. La sua memoria generosa e puntuale disvela una personalità che molto ha vissuto e tanto può insegnare.

Gli inizi della carriera: com’è andata?
«Faticosi. C’è stato un grande apprendimento, venivo dal mondo dell’arredamento di interni. I tempi del cinema, la velocità in cui si deve fare il lavoro costituivano per me un cambio enorme».


C’è stato un incontro che ha cambiato il suo futuro?
«Federico Fellini. Con lui mi sono impegnata moltissimo. Nel film E la nave va ero assistente di un arredatore molto bravo, Massimo Tavazzi. Ci siamo divisi i lavori e lui mi ha detto: “Occupati di tutta la parte di arredamento delle cabine della nave”. Massimo era molto soddisfatto del mio lavoro che così si è ampliato alla grande sala da pranzo. Alla fine del film avevo i credit come arredatore e non come assistente».


Ottimo, e allora?
«Sono andata da Fellini, avevo un sacro terrore di lui. Timidamente gli ho detto: “Maestro, la ringrazio perché mi ha fatto firmare il film come arredatore” e lui mi ha risposto “Lei ha fatto il lavoro da arredatore”. Quindi, visto che Fellini decideva anche le spille che succedevano nel set, con questo riconoscimento ho capito che quella era la mia strada, il mio indirizzo di vita».


A proposito, c’è stato un maestro nella sua vita? 
«Non ho avuto un maestro. La mia collaborazione con Dante è conosciuta da tutti ed è stata una cosa che ha portato molti frutti. Lui era contrario che io facessi questo lavoro. Vengo dal liceo classico, ho cominciato legge, vivo a Roma dove sono nata, circondata dalla bellezza: cose che hanno influito nella mia formazione».


Quali sono le doti che le hanno portato tanti riconoscimenti? Oscar e tanto altro.
«Sono sempre entrata in sintonia con i registi, possiedo una sensibilità nel capire cosa volessero. Poi, un innato istinto per cui, in mezzo a trenta cose, capivo quella che era giusta, e quella che non lo era. Oppure mi inventavo una cosa».


Che parte ha la scenografia in un film?
«Fondamentale. Mi sono immersa in tempi, luoghi diversi, non ho mai fatto un film dove si metteva la macchina da presa e si girava. C’è sempre stato un processo creativo».


L’ispirazione da cosa arriva?
«Dal lampo dell’intuizione. C’è un fondamento di educazione, di cultura, però poi c’è come un’attrazione, per delle cose invece che per delle altre.

Attrazioni che sono state vincenti, ma non voglio essere presuntuosa».


Che cosa serve per fare bene il suo mestiere?
«Prima di tutto la documentazione è fondamentale, entrare dentro il periodo del film».


La difficoltà più ardua nella sua carriera?
«In The Aviator: la casa di Ava Gardner. Dovevamo girare in una villa vuota e non avevamo più budget, cosa su cui negli Stati Uniti non si scherza. Ero angosciata. Un giorno, mentre giravo per Los Angeles, ho trovato una signora francese con dei mobili déco e l’ho convinta ad aiutarmi. Lei mi ha detto: “Se me li riconsegni in due giorni faccio pagare solo la cifra che hai a disposizione”. Una grande responsabilità: ma è stata una vittoria».


La gioia più intensa nel lavoro?
«Di essere riuscita a rispettare il budget del film».


Il successo che sapore ha?
«È una cosa aleatoria, è il riconoscimento di lavori fatti bene. Io credo che la cosa più importante sia la convinzione di aver fatto bene il lavoro. Le “medaglie” non devono essere la ragione per cui vivere».


Il trionfo agli Oscar: come lo avete vissuto?
«Io ho vinto dopo la quinta nomination e Dante alla settima. Siamo andati a Los Angeles varie volte senza mai vincere: non volevamo più andarci. All’ultimo momento si è deciso di partire ma ero completamente distaccata. Ero un pezzo di ghiaccio e questo mi ha impedito di esultare. Ad un certo punto ho detto: “Ma è vero o è un sogno?”».


Che cosa apprezza di più negli altri?
«L’intelligenza, il senso dell’umorismo e anche un po’ di sincerità».


Che cosa ritiene un peccato imperdonabile?
«Agire a scapito degli altri».


È mai stata delusa?
«Nella vita si hanno delusioni dalle persone. Bisogna fare un bilancio e pensare che quella persona ci ha dato anche delle cose positive. Cercare di analizzare e di andare avanti soprattutto».


L’errore più grande che si possa commettere nel mondo dello spettacolo?
«Essere dei personaggi finti, che si presentano per qualcosa che non è autentico».


A un ragazzo che le chiedesse un consiglio per la vita che cosa direbbe?
«Precisione, determinazione, non arrendersi mai».


Nell’insieme delle caratteristiche del suo mestiere, quali sono indispensabili per riuscire?
«Ci deve essere un’attitudine, ma poi tanta umiltà, voglia di crescere imparando, leggendo, coltivandosi. Non arrendersi con le prime delusioni: se una persona ha talento alla fine viene fuori».


Con Dante Ferretti, come avete trovato la sintesi tra professione e matrimonio?
«Come dico sempre il momento più felice della nostra unione è quando lavoriamo: un’alchimia. Negli anni è stata una crescita costante: non abbiamo neanche bisogno di parlarci, tutto si incastra perfettamente».


Che cosa le piace di Dante Ferretti, scenografo?
«Ha la capacità di inquadrare immediatamente quello che sarà il film con dei bozzetti straordinari, che non sono mai stati toccati. Non si è reso necessario rifare un set o un arredamento, è andata bene».


Vi capita mai di litigare sul set?
«Sul lavoro mai».


In privato? 
«Spessissimo perché abbiamo due caratteri forti. Il più delle volte sul cibo, in cucina. Poi, entrambi amiamo il nostro lavoro per cui cerchiamo di farlo fino all’ultimo».


Insieme?
«Io nel mio lui nel suo. Lui fino all’ultimo lavora sui dettagli. Io sono lì con degli oggetti che cambio fino al momento di girare. È l’amore per quello che facciamo, con la voglia di farlo al meglio. Siamo fatti così».


La famiglia che posto occupa nella sua vita? 
«Il primo posto».


Che cosa dice ai suoi figli per vivere saggiamente?
«Ho avuto la fortuna di avere dei figli in gamba. Ho detto loro di impegnarsi e qualsiasi cosa scegliessero, di prenderla sul serio».


Quali sono i sentimenti che la emozionano di più?
«La gioia negli altri, vedere quando gli altri sono felici. Dà il coraggio di vivere».


Il valore della vita che la coinvolge di più?
«Non vorrei essere retorica: l’amore».


Che rapporto ha con il tempo che passa?
«Buono. Ho un nipotino di tre anni e mezzo e amo ancora il mio lavoro. Quindi, vediamo il domani che cosa ci porterà».


In cinque parole chi è davvero Francesca Lo Schiavo? 
«Domanda difficile. Una persona che ama la vita, ama gli altri. E che ha un profondo senso religioso».


La ringrazio...
«Mi ha chiesto la gioia più grande ma non mi ha chiesto il dolore più grande: è la morte di mio figlio, Giorgio».
 

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