Baglioni, il figlio Giovanni: «Ho avuto attacchi di panico, papà un mito ma il cognome è stato un peso. In spiaggia canto Battisti»

Giovanni Baglioni presenta il nuovo album “Vorrei bastasse” e parla del rapporto con il padre

Baglioni, il figlio Giovanni: «Papà è un mito ma il cognome è stato un peso»
di Mattia Marzi
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Mercoledì 12 Aprile 2023, 10:26 - Ultimo aggiornamento: 16:45

«Avrai, avrai, avrai il tuo tempo per andar lontano», gli cantava papà Claudio Baglioni nella canzone che scrisse l'anno della sua nascita, il 1982, Avrai. Facile a dirsi, meno facile a farsi. Soprattutto quando hai un cognome così importante: «Da ragazzo questa figura era ingombrante. Cercavo di scansarla», confessa Giovanni Baglioni, figlio del cantautore romano, nato dal primo matrimonio della voce di Questo piccolo grande amore, quello con Paola Massari. 40 anni appena compiuti, Giovanni ha scelto di seguire le orme del padre nel mondo della musica. Ma a modo suo.

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Non da cantautore, ma da chitarrista, intraprendendo un percorso che negli ultimi quindici anni lo ha visto collaborare con Nicola Piovani, Simone Cristicchi, Stefano Di Battista, Mario Biondi, il pianista jazz Santi Scarcella e pure con il padre, che ha accompagnato spesso in tournée, affermandosi come uno degli artisti più interessanti nel panorama della chitarra acustica solista contemporanea. Vorrei bastasse è il suo nuovo disco, appena uscito: lo presenta oggi alle 18 alla Feltrinelli di via Appia Nuova 427. «Arriva a distanza di dieci anni dal precedente: è frutto di una genesi lunga e travagliata. Ad un certo punto mi ero anche detto di far suonare queste composizioni ad altri», racconta.
Perché?
«Temevo di non essere all'altezza delle aspettative. Complice anche un incidente che mi è successo cinque anni fa».
Che tipo di incidente?
«Ero in Veneto, sul palco di un teatrino davanti a 200 persone. Comincio a suonare e all'improvviso il black out».
Andò via la luce nella sala?
«No. Andò via la luce nella mia testa. Osservavo le mani che si muovevano: "Questa cosa è troppo difficile", pensai. Cominciai a sbagliare. Era come se guidando una macchina non sapessi più come cambiare la marcia, la cosa più semplice e automatica».
Come reagì?
«Inizialmente pensai di fermarmi e dire: "Signori, sono mortificato, ma non ce la faccio". Invece con un certo patema d'animo portai avanti il concerto».
Cosa era successo?
«Un attacco di panico. Uno shock difficile da superare».
Si è mai ripresentata una situazione del genere?
«Non in quelle proporzioni. Un po' di quell'inquietudine è finita anche nelle composizioni di questo disco: il peso delle aspettative mi hanno scoraggiato e fatto dubitare del mio percorso di vita».
Colpa di quel cognome?
«No. Forse fu una crisi di percorso, una vicenda personale».
È vero che quando era ragazzino e suonava si faceva chiamare Giovanni Marini?
«Sì.

Ma non per mia scelta. Andai a fare una vacanza in un villaggio alle Maldive. Rimasi lì tre mesi, lavorando come bagnino. Il capo della struttura, italiano, una sera aveva un buco nella programmazione. Mi disse: "Mi hanno detto che sai suonare". Il nome d'arte, però, me lo affibbiarono loro: siccome lavoravo come bagnino, scelsero scherzosamente un cognome che aveva a che fare con il mare».

 


Mai provato a cantare?
«Non ho velleità da cantante. Lo faccio solo davanti ai falò».
E cosa canta?
«Battisti (ride). Se cantassi Baglioni scatterebbe il conflitto di interesse. Da ragazzino quando andavo al mare e facevo nuove amicizie evitavo anche di presentarmi con il mio cognome. Non volevo essere identificato come "figlio di"».
I contro dell'esserlo quali sono?
«Tra i 13 e i 15 anni sentivo che quella presenza mi spersonalizzava: avere un padre così famoso sovrastava tutto quello che facevo. Con lui non ne ho mai parlato: avevo paura di ferirlo. Era causa, suo malgrado, di quel mio malessere».
E i pro, invece?
«L'orgoglio di essere così vicino a un artista che ammiro molto».
«Lo reputo l'artista più grande della nostra contemporaneità», ha detto di suo papà. Addirittura?
«Se non lo è, siamo lì: se la gioca con i più grandi».
Alla fine lo ha avuto il suo tempo per andar lontano?
«Artisticamente abbastanza, pur facendo della musica diversa: parla per me questo disco, a cui tengo moltissimo. Oggi quel verso continua a essere un auspicio per il futuro».


La Feltrinelli, via Appia Nuova 427. Oggi, ore 18.
 

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