Anna Fendi: «Noi 5 sorelle in cerca della perfezione. Il rimpianto di mio padre? Non avere avuto un figlio maschio»

Parla la secondogenita della famiglia romana che ha fondato la celebre maison: "Gli incontri che hanno lasciato il segno? Con il maestro Karl Lagerfeld e con il mio compagno Pino Tedesco. I miei segreti: disciplina, laboriosità e passione"

Anna Fendi: «Noi cinque sorelle all’inseguimento della perfezione. Il rimpianto di mio padre per non avere avuto un figlio maschio»
di Paolo Graldi
6 Minuti di Lettura
Giovedì 18 Maggio 2023, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 20 Maggio, 11:30

Creare: come nasce l’idea?
«Da uno sguardo nel passato, una riflessione sul presente e una previsione sul futuro. Ma soprattutto - risponde Anna Fendi - da una luce che brilla improvvisamente: quasi sempre nel buio della notte. Scoprendo che talora una sola idea può risolvere una crisi».


Cinque sorelle, tutte con il talento di stiliste: eredità genetica, genitoriale?
«Nostro padre e nostra madre ci hanno formato con una severità estetica rara ed esemplare: come un’isola di qualità in un mare di confusione stilistica. Veri protagonisti del nostro successo, l’uno ci ha coltivato intellettualmente, l’altra al senso realistico della concretezza e della vocazione al lavoro. Ma come non ricordare quanto mio padre ci ripeteva con un piccolo sorriso di rimpianto: non avere un figlio maschio a cui affidare il futuro di un nome da lui stimato e capace di pronunciarsi in ogni lingua. Una vera calamità con 5 figlie femmine. Tuttavia, un fondo di verità esiste, una genetica familiare che si intreccia con il brand, non a caso ancora oggi mia figlia Silvia e mia nipote Delfina sono presenti nella Maison, in ruoli di grandi creatività. La prima dal 1998 ha affiancato Karl Lagerfeld – storico direttore creativo sin dagli inizi con noi 5 sorelle – Delfina, quarta generazione oggi è direttrice creativa dei gioielli Fendi. Per non parlare di mia nipote Annabel che terminato il liceo a Roma ha scelto di iscriversi in un istituto di moda e design a Londra».


C’è un segreto che ha creato l’armonia permanente tra voi sorelle?
«Non abbiamo mai avuto tempo per discussioni troppo animate; ma, se ci sono state, l’obiettivo unico restava quello di realizzare le nostre finalità di perfezione.

Talora mi scopro rimpiangere quelle vivaci discussioni sul nostro lavoro. Occasioni spesso uniche di aperto confronto che oggi mi mancano».


La sua fonte di ispirazione?
«L’ideale di una donna disinvolta e con un’anima. Indimenticabile Silvana Mangano che abbiamo avuto la gioia di vestire, nel capolavoro di Visconti, Gruppo di famiglia in un interno».


Creativa e imprenditrice: come convivono queste due dimensioni?
«Non ho mai sottoposto la mia interiorità ai vincoli del commercio: è venuto da sé con il successo. È stato d’obbligo un parallelo sguardo al commerciale. Lezione questa venuta direttamente da un purissimo intellettuale come era Lagerfeld. Parte della mia professionalità si realizzava nel rendere realistica e produttiva una creatività innata che non poteva e non doveva rimanere improduttiva».


Tanti incontri: chi ha lasciato il segno più profondo?
«Professionalmente l’incontro con l’incomparabile maestro Karl Lagerfeld. Umanamente quello con il mio compagno di vita Pino Tedesco».


L’importanza di incontrare la persona giusta. Nel suo caso, chi?
«È stato fondamentale condividere tanti anni di lavoro con il più grande stilista della nostra modernità. Non ringrazierò mai abbastanza il destino per averci fatto vivere l’esperienza Lagerfeld attraverso il prestigioso e grande amico Franco Savorelli di Bertinoro».


Il complimento più bello?
«Quando viene lodato il buon senso».


E la critica che l’ha amareggiata?
«A quella vera ho sempre risposto facendone un prezioso consiglio, le altre, pochissime, è stato più saggio ignorarle e compatirle».


I cinque comandamenti che hanno guidato la sua vita? 
«Laboriosità, passione, disciplina, salute e tanta pazienza! Non compatirsi mai. Portando sempre con me al primo posto l’esempio e il ricordo intimo dei miei cari che negli anni sono venuti a mancare».


Molto lavoro anche per il cinema: che esperienza è stata?
«È stata per noi una grande scuola formativa dalla quale sono nate grandi amicizie. Tra i tanti un ricordo particolare conservo per Piero Tosi e Mauro Bolognini, due grandi maestri. Il lavoro con la Sartoria Tirelli, grande sartoria di costumi. Tutti ci hanno intellettualmente e tecnicamente arricchito».


L’amore non ha età. Lei che cosa dice a riguardo?
«Ne sono l’esempio lampante, ogni giorno di più sono innamorata del mio compagno. Con un suo grande pregio, non saper mentire. Insieme abbiamo capito che con gli anni la cosa più importante al di là delle proprie impuntature caratteriali è volersi bene, che conta più dire ti voglio bene che ti amo, ancora di più alla nostra età si ha bisogno di condividere affetto e tenerezza».


La riconoscenza è il sentimento della vigilia?
«Per me la riconoscenza è il sentimento più nobile. Unita all’umiltà».


C’è stato un maestro che l’ha guidata negli atti più importanti? 
«Non posso tacere un mio intimo segreto: Piero Tosi. Con la sua delicatezza mi ha insegnato soprattutto che la banalità è nemica della qualità. Fermo restando un reciproco rispetto per la vita di ciascuno. Tuttavia, la mia amica del cuore, oltre che sorella, è sempre stata la quartogenita Carla. Ho avuto una vita familiare intensa, in primis dei genitori straordinari, i veri personaggi della nostra famiglia. 4 sorelle uniche e diverse tra noi, indispensabili e complementari l’una all’altra. Tre figlie, Maria Teresa, Silvia e Ilaria con tre personalità di grande temperamento, che hanno costruito tutte e tre dei percorsi di vita non certo banali, con risultati emozionanti di cui sono orgogliosa, mettendo contemporaneamente al primo posto i propri figli e i propri nipoti».


La prima regola di vita che ha insegnato alle sue figlie? 
«Che nulla ci è dovuto e che c’è sempre un modo gentile per ottenere le cose. Un giorno poi, ho chiesto alle mie figlie come avevano fatto a diventare tre donne così determinate nel lavoro, dato che non mi ero mai imposta nel pretendere da loro dei percorsi lavorativi così ben delineati, Silvia mi rispose non è vero mamma, tu ci hai imposto tutto quello che poi abbiamo fatto, meravigliata contestai questa sua risposta, e mi sentii rispondere sì, ce l’hai imposto con l’esempio».


C’è una frase della sua infanzia che l’ha accompagnata per la vita?
«Siate sempre unite come le 5 dita di una mano “parola di nostra madre”. Nessun protagonismo e fedeltà al marchio».


Le doti per avere successo, nel mestiere e nella vita?
«Una salute di ferro e la capacità di lavorare senza l’orologio in mano. E non perseguire mai il successo: se non di ciò che stai facendo. E nella più totale inconsapevolezza di averlo già raggiunto».


Qual è il suo colore preferito? Che cosa le racconta?
«Beige, avorio e nero: la somma di ogni possibile eleganza. Il senso della misura».


Qual è la parola più bella?
«Bontà unita a intelligenza».


In cinque parole chi è davvero Anna Fendi?
«Ne basta una sola, Famiglia. Una parola che racchiude le mie figlie, i miei nipoti, le mie sorelle, il mio compagno, il mio lavoro, i miei collaboratori fedeli e il grande amore per la Bellezza. Insomma, il mio cuore che può raggiungere l’amore anche incontrando la vera amicizia».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA