Sono passati quasi sei anni da quel 5 agosto 2015, quando un Tso costò la vita ad Andrea Soldi, 45enne affetto da schizofrenia che amava trascorrere le giornate su una panchina in piazza Umbria, a Torino. Quella panchina da cui tre vigili urbani lo prelevarono a forza, causandogli una compressione del collo rivelatasi fatale. Qualche anno fa il padre Renato ha ritrovato il suo diario, una cinquantina di fogli. «Erano custoditi nel comodino della stanza degli ospiti. Quasi tutti scritti a mano. Leggerli è stato doloroso, ma mi ha restituito tante cose di Andrea».
Oggi, un giornalista Rai, Matteo Spicuglia, quegli scritti li ha fatti pubblicare. È un diario che copre vent'anni della sua vita, da quando giovanissimo avverte le prime crisi durante il servizio militare, fino al 2010, prima che la malattia si aggravasse impedendogli di continuare a scrivere.
La stella alpina
«Mio fratello è sempre stato dalla parte dei fragili. Ma da fragile, qual era lui, è stato invece calpestato. Ho scelto la stella alpina per la panchina in sua memoria perché mi ricordo che durante una delle ultime gite in montagna si era preoccupato che non la calpestassi. Si era raccomandato: Guarda sempre cos'hai davanti a te. Era molto dolce con i bambini. Quando è diventato padrino del suo secondo nipotino era così orgoglioso». Questo libro non vuole solo raccontare la storia di Andrea, ma intende accendere i riflettori sul dramma della schizofrenia, malattia che colpisce a prescindere dall'etnia o dalle condizioni sociali. «A volte pensiamo che alcune vite siano inutili, e i pazienti psichiatrici spesso non vengono considerati dalla società e vengono lasciati in carico alle famiglie senza alcun sostegno. Andrea purtroppo non c'è più, ma in questi anni sono entrata in contatto con altre persone che condividevano realtà simili. Si può dire che in qualche modo Andrea sia ancora vivo in questa battaglia. Perché quello che è accaduto a lui non deve più ripetersi».
Andrea Soldi è morto a 45 anni dopo un trattamento sanitario obbligatorio durante il quale - hanno stabilito le sentenze di primo e secondo grado - è stato sbagliato tutto quel che si poteva sbagliare. Suo padre Renato non potrà mai dimenticare quel pomeriggio drammatico, anche perché era lì, nella piazza torinese dove Andrea è stato raggiunto dallo psichiatra e dai vigili urbani per il Tso: «Ero a 200 metri da lui e l'accordo con il medico era di non farmi vedere, così mi sono detto: è in buone mani, e sono andato a casa di Andrea per sistemarla. Quante volte mi sono rimproverato. Se mi fossi avvicinato anziché fidarmi del dottore...». Renato, è stato sopraffatto dai sensi di colpa. «Possiamo dire di aver avuto giustizia - conclude la sorella Cristina - ma ci chiediamo, quelle persone oggi sono ancora in servizio, fanno ancora lo stesso lavoro. Durante il processo ci ha colpito negativamente l'arroganza della polizia municipale. Solo il medico ci ha chiesto scusa».
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