Adriano Panatta: «Le donne? Ero carino e non mi tiravo indietro, ma oggi sono innamorato di mia moglie e gioco al mio gioco»

Il tennis come metafora della vita: una partita affascinante con le sue infinite varianti. Ancora tutta da giocare

Adriano Panatta: «Le donne? Ero carino e non mi tiravo indietro, ma oggi sono innamorato di mia moglie»
di Paolo Graldi
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Giovedì 6 Aprile 2023, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 16:52

Il rapporto con le parole, per Adriano Panatta, assomiglia molto a quello che utilizzava da campione: le alza, le schiaccia, tira la volée poi si lancia e va di dritto e di rovescio. Infallibile. Risposato felicemente da qualche anno, tre figli, e due nipoti, vive tra Treviso, dove ha fondato un club polisportivo, e Roma dove è opinionista a “Dribbling” per RaiSport. Nato nel Luglio 1950 a Roma, Panatta è, con Nicola Pietrangeli, suo amico e avversario, una monumentale icona di questo sport ed oggi apprezzato opinionista in tv. Negli Anni Settanta ha vinto tutto e di più. Per questo incontro di “In Vita Veritas”, il tennis è utilizzato come metafora: una partita affascinante con le sue infinite varianti. Ancora tutta da giocare.

Panatta, lei è opinionista in diversi programmi tv. A che gioco gioca?
«Il mio gioco».

In che cosa consiste?
«Essere me stesso, come lo sono tutti i giorni».

Oggi i campioni sono milionari, ai suoi tempi solo campioni?
«Anche noi guadagnavamo bene, non come adesso, però io non mi sono mai lamentato».

Nadal fa una doccia prima di ogni partita. Lei che cosa faceva prima di entrare in campo?
«Io facevo pipì. Inevitabilmente».

Il piacere della battuta pronta la caratterizza. È come una partita, con le parole al posto delle racchette?
«Sì, è l’improvvisazione. Perché il tennis è improvvisazione, nel senso che ogni palla è diversa dall’altra. E così deve essere anche su un botta e risposta».

Come gestisce lei il rapporto con il tempo che passa?
«Bene, anche se mi girano gli zebedei».

Perché?
«Perché divento vecchio.

Inevitabilmente».

La vecchiaia non ha i suoi vantaggi?
«Sì, una parte della vecchiaia a me piace, ma se avessi vent’anni di meno starei meglio».

Che sapore ha la vittoria? 
«Agrodolce».

E la sconfitta?
«Agrodolce».

 

Che cosa le piace delle persone?
«La sincerità, l’onestà e l’ironia».

Che cosa non sopporta negli altri?
«Il contrario delle cose che ho detto».

L’antagonismo sportivo può trasformarsi in qualcosa di più? 
«L’antagonismo sportivo nel mio sport, che è individuale, è un confronto tra una persona e un’altra. Non andrei oltre».

Le può dispiacere di battere un avversario che le è simpatico?
«L’avversario è avversario, va battuto. Poi dopo magari ci vado a cena insieme».

Il colpo più temibile, non in campo, ma nella vita?
«È il colpo che non t’aspetti. Che può essere un tradimento. Sì, soprattutto un tradimento».

In che cosa consiste la marcia in più per essere un grande campione?
«La marcia in più è tirare la palla lì e la palla va lì dove vuoi».

Le regole del gioco del tennis potrebbero insegnare qualcosa anche su come gestire la propria vita?
«Tutte le regole dello sport insegnano a migliorarsi nella vita. Primo, perché sono regole, per cui da bambino impari a rispettarle. Lo sport senza regole sarebbe il caos, come la vita normale».

Qual è una regola dello sport più importante delle altre, che fa premio su tutte?
«Essere competitivi, ma avere rispetto dell’avversario».

Qual è nel gioco del tennis la più grande prodezza?
«La prodezza consiste nel riuscire a fare una cosa che non si può fare. E che pochissimi riescono a fare».

Le è capitato qualche volta?
«La famosa Veronica era un colpo che nessuno faceva e che io mi sono inventato così, all’improvviso. Però non era per niente intenzionale: io facevo questa cosa, la palla andava lì, e io facevo il punto».

Nel tennis, lo studio della psicologia dell’avversario che importanza ha?
«Tantissima. Con il linguaggio del corpo io capivo il momento in cui l’avversario aveva qualche défaillance o piuttosto che era in esaltazione».

Nello sport in generale, che cos’è imperdonabile?
«Rubare».

Capita spesso?
«No, adesso non più perché c’è il falco: le tecnologie non consentono più di farlo».

La psicologia del campione di che cosa è fatta?
«30% di consapevolezza, 30% di conoscenza e 40% di follia».

C’è una frase ascoltata nella sua infanzia che l’ha accompagnata per la vita?
«Sì, mio padre mi disse “Ricordati sempre che a volte sei martello, a volte sei incudine”».

Lei si è sentito nella vita più martello o più incudine? 
«Tutte e due. L’importante è che quando sei martello, parlo nel campo, “meni”, picchi forte. Quando sei incudine c’è l’umiltà di stare lì ed aspettare che passi».

Qual è la più bella parola che le viene in mente?
«Amore». 

Un esempio? 
«Sono innamorato di mia moglie (Anna Bonamigo, ndr). Mi ha ridato la voglia di fare, di impegnarmi, di scommettere. Una rivoluzione. Le devo tutto. Felicità compresa».

C’è stato un maestro, un punto di riferimento che l’ha guidata negli atti più importanti, non solo in quelli sportivi?
«Mario Belardinelli, che è stato il mio maestro che mi ha insegnato, oltre che come si diventa un giocatore, anche come si diventa un uomo».

L’insegnamento più importante?
«L’umiltà».

Qual è il sentimento nel quale si riconosce di più?
«La generosità, perché il primo ad essere contento sei tu».

C’è una cosa che avrebbe voluto fare e non ha potuto realizzare?
«Prendere due lauree».

Una non basta?
«Io esagero sempre».

I ricordi rappresentano un patrimonio. Che genere di memoria possiede lei? 
«Io non ho molta memoria. Le cose importanti non le dimentico mai perché sono impresse con il fuoco nel mio cervello».

Il ruolo delle donne nella sua vita: è disposto a parlarne?
«Non mi sembra un argomento tabù». 

Ce ne sono state molte e diverse tra loro. Che tipo di avventure sono state?
«Una diversa dall’altra».

Sono capitate o le ha cercate?
«Il 90% mi sono capitate».

Bello e impossibile?
«Bello, sarebbe presuntuoso dirlo. Diciamo che ero “caruccio”, come si dice a Roma. Però non sono mai stato uno impossibile. Non ho mai messo una barriera tra me e una donna, anzi ci sono state delle donne molto meno belle di altre che mi hanno incuriosito molto di più».

Le donne l’hanno aiutata o distratta nella sua vita di campione?
«Né distratto né aiutato. Quando giocavo mi ha aiutato più avere dei figli: io ho avuto figli molto giovane, nati durante la mia carriera, e proprio i figli mi hanno dato un senso di responsabilità maggiore».

La gelosia è un male necessario o un inutile fardello?
«Non ci credo mai agli uomini o alle donne che dicono di non essere gelosi».

Il ricordo più bello e quello più brutto della sua vita?
«Il ricordo più bello quando sono nati i miei figli. Il più brutto della mia vita quando sono morti i miei genitori».

Qual è il valore più importante della vita per lei?
«Ce ne sono tanti, sulla mia tomba - che non avrò - vorrei scritto “Ho fatto quello che ho potuto”».

Che cos’è che la fa ridere di più?
«Il cinismo romano, ad esempio Alberto Sordi. Mi piace l’ironia di Totò, la cattiveria di Eduardo o di Paolo Villaggio, di cui ero fraterno amico. Mi piacciono molto gli adulti che fanno cose comiche un po’ infantili, li invidio molto».

Lei si considera un vincente nella vita?
«Io mi considero fortunato, non completamente vincente, perché sarebbe arrogante e presuntuoso dirlo. Forse più vincente che perdente».

Sinner a Miami è esploso, anche se ha perso la finale. Abbiamo trovato un nuovo Panatta?
«Non so se abbiamo trovato un nuovo Panatta perché sono passati 50 anni, ma sicuramente abbiamo trovato un nuovo campione. Sinner è un giocatore completo, fra i giovani emergenti. Avrà un grande futuro. È un campione, questo è sicuro».

In cinque parole chi è davvero Adriano Panatta?
«Sono una persona lunatica, imprevedibile, malinconica, coraggiosa. E poi mi piace molto la discrezione».

I personaggi delle precedenti puntate di “In vita veritas”: Renzo Arbore, Giorgio Parisi, Giovanna Ralli, Pierfrancesco Pingitore, Giulio Maira, Massimo Ammaniti

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