Rockwell la coscienza etica degli Usa

Rockwell la coscienza etica degli Usa
3 Minuti di Lettura
Domenica 9 Novembre 2014, 06:09
LA MOSTRA
È stato lo specchio dell'America, come è davvero e come vorrebbe essere, tra Sogno e realtà, cronaca e magia. Pop e profondo, soave e geniale, ironico e acuto, Norman Rockwell ha posato il suo sguardo sul Grande Paese seducendo tutti con l'incantevole garbo di centinaia di illustrazioni capaci di trasformare la vita quotidiana delle persone comuni in mito. Così amato («l'artista della gente» è stata l'etichetta che ha accompagnato una carriera di oltre mezzo secolo) ma anche così frainteso. Eppure, molti suoi ingenui ammiratori avrebbero dovuto capire il monito lanciato contro questo unidimensionale identikit dallo stesso Rockwell per rivendicarne uno molto più complesso con il magnifico autoritratto del 1959, il “Triple Self-Portrait” in cui si moltiplica nell'atto di dipingersi davanti a due cavalletti... E, se è indubbio che l'artista newyorkese sia stato un eccezionale interprete dell'America, non lo è stato affatto di quella della classe media più conservatrice o addirittura reazionaria ma di un'America vibrante di ideali, di coraggio, di autentiche virtù. Semplice e bucolica sì, ma nel segno di Thoreau.
LE SEZIONI
“American Chronicles: the Art of Norman Rockwell”, che la Fondazione Roma presenta a Palazzo Sciarra in collaborazione con il Norman Rockwell Museum di Stockbridge (dall'11 novembre all'8 febbraio 2015, a cura di Danilo Eccher e Stephanie Plunkett, catalogo Skira), cancella la superficialità che ha spesso associato il dinoccolato e quasi metafisico illustratore a un'immagine rassicurante ed edulcorata. Lo fa in cinque sezioni (“American Roots, Shaping an American Aesthetic, Tomorrow, American Dream, Problems and Perspectives”) che scandiscono un percorso di oltre 110 opere tra dipinti, foto e documenti arricchito dal nucleo di ben 323 copertine originali del Saturday Evening Post realizzate tra il 1916 e il 1963 e testimoniano il talento narrativo di Rockwell dai ruggenti Anni 20 alla Grande Depressione, dalla seconda guerra mondiale agli Anni 50 e 60.
Le ambiguità vengono messe subito in un angolo dal presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Emanuele, che prosegue così l'importante serie espositiva dedicata all'arte a stelle e strisce dopo Edward Hopper, Georgia O'Keeffe, Louise Nevelson e Andy Warhol. Sul piano formale loda con ammirazione la pittura di Rockwell «avvolta in un realismo quasi fiabesco», ma poi sottolinea anche l'importanza delle virtù che al maestro newyorkese erano più care. «Mi riferisco», dice, «alla tolleranza e al rispetto dei valori - laici o religiosi - che nel suo immaginario si trasformano in preziose occasioni per affrontare i drammi della vita, i conflitti, l'odio razziale e le ingiustizie sociali».
VISIONE IRONICA
La retrospettiva ne dà continue conferme. La sezione sulle Radici Americane ci offre non a caso il ritratto di “Lincoln” del '61 e quanto al “Family Tree”, l'albero genealogico, non è certo avaro di pungente ironia dal momento che celebra la nascita del Paese in un'unione pirotecnica di cowboy e indiani, di pirati e gente comune. Quella sulla creazione di un'estetica americana è illuminata dall'acrobazia del “Triple Self-Portrait” e da un realismo enfatizzato dall'attenzione quasi maniacale per i dettagli. “Tomorrow” è un inno all'infanzia, alla figura del fanciullo che - nota giustamente Eccher - è centrale nell'opera di Rockwell come «volto metaforico di una società giovane e in crescita» ma «determinata, coraggiosa, intraprendente». Anche in questo caso non si va a senso unico e alla delicata “Girl at the Mirror” del '54 contrappone nel '58 il piccolo ribelle di “The Runaway” in fuga dalla famiglia.
Problemi e prospettive è segnata dallo zenith dell'impegno politico-sociale che coincide con la collaborazione alla rivista Look. Possiamo ammirare le tele sulle “Quattro libertà” (di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura) ispirate dal celebre discorso di Roosevelt del '41, che suggeriscono a Eccher di evidenziare i rapporti tra Rockwell e la grande tradizione classica («Il “sogno americano” è dichiarato ma la sua arte lo illustra attraverso la pittura, accendendo le torce dell'emozione e della poesia»); e le due straordinarie denunce contro il razzismo, “The Problem We All Live With” del '63 con la bimba di colore accompagnata a scuola dagli agenti per sfuggire alle minacce dei bianchi e Murder in Mississippi del '65, che permette al curatore di evocare la Pietà. Altro che cronista della tranquilla famiglia americana...
Massimo Di Forti
© RIPRODUZIONE RISERVATA