Toni Servillo: «Le voci di Eduardo De Filippo, i nostri tanti destini»

Toni Servillo: «Le voci di Eduardo De Filippo, i nostri tanti destini»
di Katia Ippaso
5 Minuti di Lettura
Domenica 24 Maggio 2020, 12:45

«Sta tutto scritto/ sta tutto signato/ Ma addò sta scritto?... E chi è stu nfamo,/ st'anema dannata/ ca segna e scrive/ dint a chistu libro/ e ca dice: /« Mò tu!»,/ «Tu no! »,/ «Tu si!»?. È la pagina di un libro che raccoglie le poesie di Eduardo. Accanto al titolo (Ca si fosse) e alla data di composizione, 1959, c'è un appunto scritto a matita: Le voci di dentro. Toni Servillo mostra questi versi prima di iniziare la nostra conversazione su Eduardo De Filippo, nato esattamente 120 anni fa. Come si festeggia il compleanno di uno dei più grandi artisti del Novecento, drammaturgo, attore, capocomico, poeta, regista, il maestro napoletano che fino all'ultimo giorno di vita terrena (31 ottobre 1984), ha continuato a fare dono di sé? Il grande attore casertano, che oggi rappresenta l'arte recitativa nel mondo, si chiede come possa esprimere la propria gratitudine. Oggi è il compleanno di Eduardo: «Non vorrei tanto parlare di me, ma di lui, di quest'uomo nato il 24 maggio del 1900, dell'artista che ha attraversato in secolo scorso con la coscienza e la raffinatezza di un poeta».

Cosa ci dicono questi versi?
«Eduardo ha cercato di dare un senso alla sua parabola esistenziale. In questa poesia, si chiede se c'è davvero una mano che scrive il nostro destino. Se almeno si trovasse un foglietto, se putesse/ cu certezza sape'/ qual'è a mano ca scrive,/ e se sapesse/ si scrive cu nu scopo/ na ragione/ o pe' sfizio sultanto/ o sulamente pe' malvagità».

Ma questo foglietto non si trova.
«Non si trova nessun foglietto dentro il libro della vita. Lo scrittore Ermanno Rea sosteneva che i personaggi di Eduardo camminano quasi di nascosto sulla fune della vita, nel timore di scoprire il punto dello schifo, la vergogna che l'uomo prova di sé stesso: da qui nascerebbero le famose pause di Eduardo. Attraverso le pause e le poesie, Eduardo si chiede: perché esistiamo?».

Sulla pagina lei annota a matita: Le voci di dentro. Cosa voleva dire?
«Quei versi mi hanno ricordato Le voci di dentro, una delle due commedie di Eduardo che ho anche messo in scena. Nel finale, si parla proprio del sentimento della vergogna».

Lei mette in scena Le voci di dentro nel 2013. Nel 2002, aveva scelto Sabato, domenica e lunedì come partitura eduardiana da dirigere e interpretare. Perché proprio quella commedia?
«A differenza delle altre opere, non esiste di Sabato, domenica e lunedì una registrazione televisiva. E non dimentichiamo che Eduardo ha registrato l'intero corpus della sua opera, facendo sì che la sua arte di autore e di interprete si insediasse nell'immaginario di più generazioni! Volevo proprio confrontarmi con un testo che non fosse stato consumato da una partitura visiva precedente».

Sono spettacoli che hanno girato il mondo.
«Come Teatri Uniti, da 15 anni produciamo e distribuiamo assieme al Piccolo Teatro di Milano. Se non ci fosse stata la lungimiranza di un uomo come Sergio Escobar (direttore del Piccolo), non avremmo potuto portare Eduardo nel mondo, da Chicago a San Pietroburgo, da Londra a Istanbul».

Quando vide Eduardo a teatro la prima volta?
«Come tanti altri bambini, anche io, che sono nato nel 59, andavo con la famiglia al Teatro San Ferdinando di Napoli per vedere le commedie di Eduardo. La società si specchiava nelle sue parole. Poi ci tornai nel 1979, a 20 anni, quando avevo già creato la mia compagnia a Caserta».

Cosa vide a quel punto nel volto e nella voce di Eduardo?
«Allora Eduardo recitava un dittico: Il Berretto a sonagli di Pirandello e il suo atto unico Sik Sik, l'artefice magico. Lì si incise nel mio animo di giovane osservatore lo stile di recitazione eduardiana: una macerazione silenziosa, il pensare ossessivamente un pensiero fino al limite di una metodica follia. Mi sembrò meravigliosamente moderno, più vicino a Cechov che a Pirandello».

Nel 1986 lei recita per la prima volta Eduardo, non le commedie ma le poesie.
«Lo spettacolo E voleva essere un omaggio all'Eduardo più intimo. Quelle poesie parlavano del sole, del mare, della natura. È in quell'occasione che conosco Luca De Filippo. Sarò sempre grato a Luca e a Isabella Quarantotti, l'ultima moglie di Eduardo (un rapporto di fiducia che oggi si rinnova con il figlio di Luca, Tommaso) per avermi concesso i diritti delle opere di Eduardo, che portai allora in dono a Leo de Berardinis, perché lavorasse a quel magnifico spettacolo che è stato Ha da passà a nuttatain cui io ero solo attore».

Ha da passà a nuttata è la battuta più citata del repertorio eduardiano. Specialmente oggi che, in emergenza Coronavirus, si torna a usare la metafora della guerra e della rinascita post-bellica.
«Napoli milionaria fu scritta nel 45 sulle macerie del secondo conflitto mondiale. Quella battuta ha un senso tutt'altro che consolatorio. Ma c'è un'altra battuta, sempre in Napoli milionaria, che mi sembra più adatta: «La guerra non è finita. Non è finito niente». Chi ha cercato il bene continuerà a farlo, i peggiori saranno sempre più votati al male. Ecco, credo che questa sarebbe stata oggi l'amara considerazione di Eduardo».

Ricorda il giorno della morte di Eduardo?
«Collego la morte di Eduardo a quella di François Truffaut, avvenuta solo 10 giorni prima (il 21 ottobre del 1984): due poeti, due creatori di qualcosa che prima non esisteva. Avevano segnato, l'uno nel teatro, l'altro nel cinema, la mia formazione».

Nel nuovo film di Mario Martone, Qui rido io, lei interpreterà Eduardo Scarpetta, il padre di Eduardo.
«Appena sarà possibile gireremo le ultime due settimane a Napoli (la prima parte è stata già girata a Roma). È il racconto di una grande tribù teatrale, con le sue miserie e le sue tragedie. In esergo, Martone usa il frammento di una intervista che Luigi Compagnone fece a Eduardo. Alla domanda Come era tuo padre, un padre severo o un padre cattivo?, Eduardo rispose: Era un grande attore».
 

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