Talitha, il fascino indiano secondo Kim Hersov

Talitha, il fascino indiano secondo Kim Hersov
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Venerdì 5 Dicembre 2014, 06:05
IL PERSONAGGIO
Talitha è il nome aramaico di una collezione di moda che è nata sognando California, culla di mille sorprese, dalle sfide della Beat Generation ai miracoli tecnologici di Silicon Valley inventati da Gates e Jobs. «Talitha è la moda che ho sempre desiderato indossare e che ora io stessa posso creare, una combinazione di preziose tradizioni multietniche e di eleganza moderna, casual e lussuosa allo stesso tempo», dice Kim Hersov, in un delizioso show room a due passi dal Victoria & Albert Museum.
Dopo anni passati nei piani alti del giornalismo - dal '92 a Vogue America e poi, dal 2000 come inviato speciale dell'edizione inglese di Harper's Bazaar - ha deciso di fare il grande salto confermando la sua disposizione a non accettare confini. Eclettico spirito dell'upper class di San Francisco e perfetta incarnazione del Villaggio Globale, Kim ha riunito un giovanile stile di vita hippie e la laurea con lode in storia all'Università di Georgetown, la capacità con i suoi editoriali di anticipare le tendenze e una presenza legally blonde che distrae il pubblico delle sfilate dalle top in passerella. Con una frenetica attività in cui moda, arte e interior design formano un inscindibile unicum, in Inghilterra si è imposta nella vita culturale e mondana meritando un profilo nel libro Bright Young Things London del 2002 dedicato ai nuovi protagonisti della capitale.
ISPIRAZIONI
Sul suo periodo hippie scherza con autoironia ma ne rivendica l'importanza: «Ha lasciato un segno su tutta la mia vita. Io e miei amici ascoltavamo per ore Grateful Dead e Stevie Nicks. Poi i viaggi come giornalista, hanno affinato la mia sensibilità bohémienne, la passione per i kaftani e i kimono che ho trasferito in Talitha».
Ma una cosa è giudicare il lavoro di un couturier, un'altra è fare la stilista, per di più con successo. Come c'è riuscita? Risponde, presentandomi una donna indiana che lavora a un tavolo: «È stato possibile perché ho trovato in Shon Randhawa una socia ideale. Shon, a New Delhi ha una fabbrica che produce capi molto raffinati, ha competenze notevoli nel ricamo e nel lavoro fatto a mano. Grazie a lei, la mia creatività non ha avuto più ostacoli».
Questo spiega anche la speciale attenzione che la collezione dà all'India. «La raffinatezza dei tessuti talmente morbidi da risultare fluidi e lo splendore dei colori che usano sono unici», dice.
LA VARIETÀ
«Gli indiani hanno mantenuto tradizioni artigianali di altissimo livello, specie nel ricamo, una risorsa per me fondamentale per dare individualità a ogni capo. La sfida è tradurre tutto questo in un linguaggio moderno, passando dal fascino dell'esotico alle esigenze della vita urbana».
Sottolinea un elemento decisivo delle sue scelte così diverse: «Conoscere la varietà delle creazioni di moda, dall'Africa all'India, dall'America Latina al Giappone, mi è servito a formare una memoria, un archivio mentale di questo eccezionale patrimonio di eleganza e creatività». Da instancabile nomade, ha pure collezionato oggetti d'arte trovati in Marocco o a Rio, opere di Mat Collishaw e Barry Reigate o candelabri surreali per la sua nuova casa finita su tutte le riviste d'arredamento d'Europa. «L'arte è un filo rosso che attraversa ogni aspetto della mia vita», dice. Poi, da outsider che non segue le regole ma le inventa, conclude con allegria: «In fondo, Talitha è nata casualmente, per tante coincidenze. Sì, il meglio della vita nasce spesso per caso».
Massimo Di Forti
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