Renzo Arbore: «Con “Io vorrei, non vorrei” m'innamorai della Melato»

Renzo Arbore: «Con “Io vorrei, non vorrei” m'innamorai della Melato»
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Domenica 4 Marzo 2018, 11:23 - Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 15:29
di Renzo Arbore

Lucio Battisti lo conobbi prima di Mogol. Me lo segnalò Christine Leroux, la discografica francese moglie di Cino Tortorella, il Mago Zurlì. Mi disse: c'è un ragazzo che suona con I Campioni di Tony Dallara e fa canzoni rivoluzionarie. Siccome abitavo sullo stesso pianerottolo di Alberto Durante, direttore della Ricordi a Roma, Battisti passava spesso a trovarmi per farmi sentire qualcosa. Non voleva assolutamente cantare, faceva l'autore. Un giorno venne a Bandiera Gialla da me e Gianni Boncompagni e ci portò la lacca, la prova di stampa del disco. «Ma come facciamo a presentarti se non canti?». E lui: «Non se ne parla, canto peggio di Mogol». Che aveva una vociaccia. Gli rimediammo una chitarra e lo mandammo in radio.

PATERNITÀ
Perciò rivendico la nostra paternità: al 70% fummo noi a convincerlo a cantare. Non c'erano le radio private. La Rai aveva i suoi programmatori, noi eravamo gli unici a mandare i brani che volevamo per i giovani. Inventammo il termine beat rubandolo clamorosamente a Kerouac. Poi invitammo Battisti in tv a Speciale per voi, aprile del '69, dove presentò Acqua azzurra acqua chiara. Prima lui e Mogol erano venuti a casa per farmi ascoltare il nuovo singolo, Dieci ragazze, più orecchiabile. Li presi in giro: «Avete fatto Cuore matto per un pubblico di ricchi?». Mi impuntai. Il singolo doveva essere il lato b, Acqua azzurra acqua chiara. Il problema per loro era che a un certo punto il brano si fermava perciò, quelli che i dischi li ballavano, sarebbero rimasti interdetti. Invece fu un successo.

I GIRI ARMONICI
L'anno dopo tornò ospite. Qualcuno del pubblico lo contestò, ma lui lo mise a tacere: «Vi emoziono o no?». Perché di quello si trattava, di emozioni. Aveva una grande personalità, una voce moderna, affascinante. Ed era profondamente musicista. I suoi giri armonici erano originali, li scovava lui, al punto che risultava quasi ostico suonarlo. Ricordo che all'inizio i pianisti di pianobar non facevano le sue canzoni, non le capivano, non erano abituati. Dopo, le sue invenzioni fecero scuola. Per i testi, Lucio e Giulio si ispiravano anche alle vicende personali degli amici. Qualcuno veniva lasciato dalla moglie? Loro si facevano raccontare l'esperienza. Anna, ad esempio, era la moglie del discografico, che, nonostante tutte le proposte di aspiranti cantanti, sceglieva sempre la sua donna. Voglio Anna, appunto. Una sera Lucio mi fece visita e trovò la casa attrezzata con luci soffuse e giradischi acceso. Aspettavo una ragazza, che non era la mia fidanzata ufficiale. Credo abbia preso spunto per Innocenti Evasioni. Non mi ritrovo nei racconti di un Lucio introverso. Io ho conosciuto un bravo ragazzo, cordiale, allegro, che rideva molto alle mie stupidaggini. Era refrattario alla mondanità, questo sì. Una sera passò da me e gli dissi: «Che fai a Roma da solo stasera? Io vado a casa di Agostina Belli con una nuova amica attrice, si chiama Mariangela Melato. Ti prometto che se vieni non ti costringiamo a suonare». Accettò. Alla villa alla Giustiniana l'atmosfera era familiare, lui si sentì a suo agio, prese una chitarra e ci fece sentire una nuova canzone, Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. Il ritratto dell'indecisione. Lì incrociai lo sguardo di Mariangela e nacque la nostra storia d'amore. Mi commuovo a ricordare.
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