Coronavirus, isolamento e web-dipendenza: quella paura di uscire dei giovani

Isolamento e web-dipendenza: quella paura di uscire dei giovani
di Anna Oliverio Ferraris
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Giovedì 28 Maggio 2020, 09:56 - Ultimo aggiornamento: 11:25

«Non vuole più uscire, ha paura. Eppure nei primi giorni della quarantena per convincere lei e sua sorella a restare in casa abbiamo dovuto litigare», lamenta il padre di una quindicenne. «In questi due mesi e mezzo di confinamento è diventato abilissimo nell'utilizzo del computer da cui non riesce più a staccarsi, ma dal punto di vista del rendimento scolastico è notevolmente peggiorato», spiega la madre di un ragazzo di tredici anni. «Ora che potrebbe uscire, resta nella sua stanza e fare i videogiochi invece di venire a giocare a pallone con noi in cortile» riferisce un amico. «Man mano ha perso il ritmo sonno veglia, così al mattino non si riesce a farlo alzare prima di mezzogiorno» racconta un nonno. «Io e mio marito siamo impegnati col lavoro e non possiamo seguirla nelle lezioni online e lei passa tutto il tempo sulle chat» è un'altra lamentela.

L'IMPATTO
A fronte di ragazzi che sono riusciti ad attraversare questo lungo periodo di confinamento mostrandosi responsabili, organizzando la propria giornata secondo orari non molto diversi da quelli di prima, cercando di sfruttare al meglio la didattica online (sia pure con i limiti che tutti quanti conosciamo) e riuscendo anche a fare dell'attività fisica in casa o sul terrazzo condominiale, altri invece hanno subìto una metamorfosi che li ha portati a modificare i ritmi giornalieri e ad adagiarsi in uno stile di vita pigro e disimpegnato.
All'inizio non è stato facile per molti ragazzi ritrovarsi da un giorno all'altro confinati in casa con papà e mamma, da soli o con i fratelli, tagliati fuori dalla scuola, dagli amici, dagli sport, da un tipo di vita collaudata e scandita da impegni precisi ed orari significativi. In una età in cui uno dei compiti evolutivi è quello di emanciparsi dai genitori per acquisire via via una sempre maggiore e sana indipendenza, tutti quanti si sono ritrovati da un giorno all'altro confinati nel nido domestico, in una convivenza che ha rischiato di infantilizzarli perché non è facile, quando si è costretti a trascorrere ventiquattr'ore su ventiquattro con papà e mamma (anche loro preoccupati e costretti a modificare le proprie abitudini di vita), non regredire ai comportamenti dell'infanzia, sia da una parte che dall'altra.
La famiglia infatti, anche quando c'è accordo non è una monade autosufficiente, ognuno, per la propria serenità e autorealizzazione ha anche bisogno di mantenere di rapporti con l'esterno, con gli amici, la scuola, l'ambiente di lavoro. Se poi l'accordo non è perfetto, la convivenza coatta si fa difficile e i rischi di scontri e conflitti aumentano notevolmente. Quando si è soli, senza famiglia, senza affetto e protezione, ci si sente esposti alle minacce del mondo come un granchio privato del guscio. Ma se il guscio è esageratamente avvolgente, pesante o stretto ci si può sentire ugualmente minacciati.

INSOFFERENZA
Il confinamento domestico dovuto al Covid-19 ha così prodotto esiti diversi. Alcuni giovani sono man mano diventati insofferenti della ripetitività delle consuetudini domestiche, della carenza di novità, di stimoli fisici, di una vita più attiva e socialmente gratificante. Per questi ultimi la possibilità di uscire è stata, ovviamente, accolta come una liberazione. Altri invece man mano si sono adagiati nel bozzolo caldo della casa, dove hanno scoperto riti rassicuranti e protettivi in grado di contrastare la paura provata nel corso del confinamento. Il rapido diffondersi del virus, le file di bare su camion militari verso destinazioni ignote e senza una degna sepoltura, l'elenco dei quotidiani decessi e dei ricoveri in terapia intensiva, la morte di numerosi medici e infermieri, le mascherine, le file nelle strade per procurarsi il cibo e i medicinali, hanno creato, settimana dopo settimana, un clima lugubre che ha determinato in molti giovani reclusi il bisogno di continuare a restare al riparo. A ciò si aggiunga l'abitudine al computer, anch'esso rassicurante come una droga.

L'AIUTO
Se prima del confinamento e della diffusione didattica online, la preoccupazione era che i ragazzi non trascorressero troppo tempo incollati al computer e allo smartphone, ma conducessero una vita sana e consona alle loro esigenze di crescita, in seguito non soltanto essi si sono sentiti autorizzati ad usare queste tecnologie ma anche costretti a farne un uso a tempo pieno per poter seguire le lezioni scolastiche. Bisognerà dunque aiutare questi novelli hikikomori ad uscire da una abitudine che li confina in uno stile di vita monocorde, a intraprendere un vero e proprio tragitto di disintossicazione che consenta loro di tenere sotto controllo la paura, di riscoprire le proprie capacità di resilienza, di aprirsi nuovamente verso il mondo.


*Psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, ex ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l'Università di Roma La Sapienza.
 

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