E Madrid celebra il genio di Givenchy

E Madrid celebra il genio di Givenchy
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Venerdì 24 Ottobre 2014, 06:04
IL PERSONAGGIO
MADRID
«Non posso immaginare la mia storia senza Audrey Hepburn. Ho avuto il privilegio di conoscere due donne che amavano la moda. La prima fu Jackie Kennedy, molto prima che diventasse first lady. Poi Audrey, che è stata come l'amore della mia vita. Non sapevo chi fosse perché “Vacanze romane” ancora non era ancora stato proiettato in Francia. Mi raccontò che avrebbe girato “Sabrina” e che Billy Wilder l'aveva mandata a Parigi in cerca di abiti parigini. Le dissi che non avevo mani per creare una collezione per lei, quindici o venti abiti, in così poco tempo. Allora lei mi invitò a cenare, una cosa sorprendente per l'epoca. Accettai e, più la guardavo, più mi seduceva con la sua eleganza e il suo incanto, Le dissi, torni domani, troveremo una soluzione. Il resto è storia».
Così Hubert de Givenchy, l'ultimo grande maestro dell'alta moda, ricorda il fascino discreto, lo stile e l'eleganza di quella che sarebbe diventata la sua musa e ambasciatrice, conosciuta nel 1954. A 87 anni, Givenchy ha presentato a Madrid la grande retrospettiva che fino al 18 gennaio gli dedica il Museo Thyssen-Bornemisza, da lui stesso ideate e curata da Eloy Martinez de la Pera.
LA COLLEZIONE
Novantuno abiti, testimonianze dei 60 anni dedicati dallo stilista all'haute couture, che dialogano con 17 opere della collezione Thyssen – da Rotko a Mirò, da O' Keefee a Fontana – a svelare l'influenza intima e sottile avuta dall'arte nelle sue creazioni. Il nucleo dell'esposizione, le creazioni per quattro icone dell'eleganza: assieme alla Hepburn di “Colazione da Tiffany” e alla Kennedy, con gli abiti creati nel 1961 per il suo primo viaggio presidenziale a Parigi e il ricevimento da De Gaulle, la duchessa di Winsor e la principessa Grace di Monaco. Dagli inizi della Maison Givenchy, nel 1952, con la prima collezione e la blusa Bettina, in onore a una delle modelle più belle dell'epoca, ai “Separade”, abiti da sera con elementi incercambiabili di gonne e pantaloni, da combinare con stile e immaginazione. Fino al “little black dress”, l'impeccabile tubino nero diventato un indumento indispensabile. Una fantastica selezione di vestiti a sottolineare l'importanza dei tessuti e il vincolo con Cristobal Balenciaga.
A differenza di Yves Saint-Laurent, Chanel o Dior, è questa di Madrid una delle poche mostre organizzate sul lavoro di Givenchy, dopo quella del Fashion Insitute of Technology di New York nel 1982 e quella del Museo Galliera di Parigi, nel 1991.
Dopo aver venduto la sua compagnia a Luis Vuitton Moêt Hennessy, lo stilista è rimasto per 6 anni alla guida della maison, prima di ritirarsi nel 1995. Oggi, a chi gli chiede se l'haute couture sia morta, Givenchy risponde: “Morì con Saint Laurent, in questo sono d'accordo con il suo socio, Pierre Bergé. Quando c'era lui, si respirava un'aria di grande attesa per le sue collezioni innovative ed eleganti. Ma ora l'eleganza è scomparsa. Niente sta bene, niente sta male, tutto è qualunque cosa». «Oggi – aggiunge – sembra che i creatori non cerchino di rendere belle la donna, ma piuttosto il contrario. E le donne non sanno dove andare. Voilá!».
Paola Del Vecchio
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