Chi ha ucciso il talk show?

Chi ha ucciso il talk show?
4 Minuti di Lettura
Giovedì 25 Settembre 2014, 06:23
IL CASO
Cavarsela con poco ormai è più difficile. Crozza che si ripete fa l'effetto di Crozza che si ripete. Matteo Orfini che fa baruffa con Angelino Alfano è il già visto nell'eterno ritorno del sempre uguale. Renato Brunetta che strilla è un classico fuori tempo, e ora per di più strilla di meno perché si sta renzizzando perfino lui. Massimo Giannini che fa il Floris d'antan e Giovanni Floris che rifà il Floris di sempre producono un gioco di coppia su opposti palinsesti, che non sta sfondando il cosiddetto - ma anche questa parola è vecchia come tutte le parole generaliste da epoca della tivvù generalista in via di decadenza - immaginario collettivo.
Dunque, ieri sera, alla seconda puntata di Ballarò e di Dimartedì, insieme i due talk show sono stati seguiti da circa due milioni e mezzo di spettatori. Mentre le due fiction in contemporanea, “Un'altra vita” su Rai1 e “I Cesaroni” su Canale5, hanno raccolto nove milioni di spettatori. Ovvio? Forse. Ma un dubbio emerge: non è che le fiction sanno raccontare il Paese in maniera più semplice, meno gergale e più istruttiva rispetto ai talk show? Dei quali tutti vedono la fine ma anche qui occorre stare attenti perché magari, quando la politica uscirà dal momento attuale - riassumibile in Renzi sì o Renzi no e quasi tutti, anche gli oppositori berlusconiani sono per il sì - il format moribondo potrebbe incontrare qualche forma di risveglio.
I NUMERI
E comunque, ieri sera, Ballarò (senza lo show di Benigni dell'altra volta) ha fatto un clamoroso salto indietro dai due milioni e mezzo di spettatori dell'esordio al milione e mezzo. Mentre Dimartedì ha fatto un passo in avanti: dal 3,47 di share al 4,23, toccando quota un milione di spettatori. Floris e Giannini stanno quasi testa a testa? Giova, come lo chiama Crozza, ieri era tutto contento dopo il passetto in avanti e ha salutato gli amici e i colleghi alla sua maniera: alè! Mentre il suo editore a La7, Urbano Cairo, ragiona così con i propri collaboratori: «L'avanzata di Floris è la riprova che abbiamo fatto bene a scommettere su di lui. Continuerà a crescere. Già siamo a più 200.000 rispetto all'inizio». E Andrea Vianello, direttore di RaiTre che ha investito tantissimo su Giannini? «Il risultato di ieri - spiega Vianello - non è quello su cui contavamo. Ma il bilancio si fa alla fine». E ancora: «Giannini ha un format che poco a poco disegnerà su se stesso. Bisogna andare a caccia di notizie, e non solo di opinioni».
Il che, come si sa, è assai più complicato e più oneroso. E il cavarsela con poco, appunto, ormai non basta più. Il primo a saperlo è Michele Santoro, che oggi torna su La7 con Servizio Pubblico per l'ultimo anno. Anche se fa sfoggio di sicurezza e crede che il talk show sia Io, cioè lui e soltanto lui - e dunque invita i telespettatori a non vedere «le imitazioni senza identità» (sta parlando anche di Floris e Giannini e Formigli?) - Michelechi, come lo chiamava Enzo Siciliano, trema di fronte alla probabilità di incappare a sua volta in un calo di ascolti. E dice di più, rivolto ai suoi fan su Facebook: «Non condivido la scelta di riempire all'inverosimile la programmazione di trasmissioni d'approfondimento, i cosiddetti talk. Hanno creato nel pubblico una specie di nausea e un vero e proprio rigetto».
IL PRADOSSO

Siamo all'incredibile paradosso di un calo della domanda del pubblico a cui corrisponde un'incredibile moltiplicazione dell'offerta di talk show. E a cui si aggiungono la concorrenza di fiction e calcio (ma c'erano anche prima), la scelta dei soliti ospiti che passano da un'ospitata all'altra omologando le trasmissioni, la fase politica non tambureggiante (ma quella del governo Monti forse lo era?), la fuga dalle reti generaliste (questo il vero trend), la difficoltà di saper trovare idee nuove. E quando ci sono, sia pure piccole e a ora tarda, come nel caso della sit-com di Ballarò, intitolata “Il candidato” (con l'attore Filippo Timi), riescono a raccogliere qualche buon punticino anche se alle 23,15. Mentre Ballarò, nel suo complesso, ieri sera ha fatto il 6 che non è l'11 dell'esordio e non neppure lontanamente parente del record del 17 per cento di share toccato da Floris nella stagione 2011-2012, o del 16 di quella successiva, fino al 13 di quella passata. Floris e Giannini oggi, cioè ieri sera, insieme fanno il 10, cioè quanto nemmeno le puntate più flosce del vecchio Ballarò si accontentavano di raggiungere. Mentre Santoro che cosa fa? Dice che vuole «imboccare strade nuove» ma la strada su cui si rimette stasera è sempre quella e il suo talk resta un talk.
LA STRADA
Tra il reinventarsi e il morire, i talk sembrano aver imboccato la seconda strada. Anche se le trasmissioni mattutine - UnoMattina, Agorà, L'aria che tira - vanno ancora bene. Pur dovendo lottare contro uno spirito del tempo ben riassunto dalla seguente scenetta di Renzi in America, mentre parla con alcuni imprenditori italiani molto innovativi nella Silicon Valley. «Voi li guardate i talk show? Perché se li guardate, addirittura dall'America, è un problema vostro. Siete un bel po' malati».
La malattia del talk show comunque è sintomatica. Questo format nacque e trionfò agli albori della Seconda Repubblica gonfia di divisioni vere e forse sta morendo insieme alla Seconda Repubblica che in questo suo crepuscolo, senza più il Berlusconi sui cui sparare, sembra al momento - anche se ci sarebbero contraddizioni su cui infilarsi e protagonisti nuovi da cercare - una «gran bonaccia delle Antille», come direbbe Italo Calvino. E non sarà un manipolo di piddini anti-Renzi, in queste ore i più ricercati in ogni redazione televisiva, che potrà ritirare su l'audience.
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA