Autosole

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Domenica 5 Ottobre 2014, 06:13
L'ANNIVERSARIO
L'Autostrada del Sole, che ieri ha festeggiato il suo cinquantesimo compleanno, fu pensata e decisa nella stanza di Salvino Sernesi, allora direttore generale dell'Iri. Era qui, via Veneto numero 89, dove si incontravano, quasi ogni settimana, quattro personaggi chiave della lunga stagione della ricostruzione: il banchiere Raffaele Mattioli, il presidente degli industriali Angelo Costa, il dominus della Fiat Vittorio Valletta, e il segretario generale della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, che faceva il suo ingresso con il falso nome di un ingegnere. Ed era qui, nel ponte di comando dell'Iri, che si era creata una sorta di cabina di regia del boom economico, dove si prendevano decisioni che poi, in tempi rapidi, diventavano cantieri.
I FINANZIAMENTI
Pochi mesi prima della data dell'inizio dei lavori dell'Autosole, Sernesi convocò nella sua stanza Felice Cova, il manager dell'Iri al quale era stata affidata la direzione tecnica dell'opera, all'epoca gigantesca per le dimensioni, 755 chilometri di percorso da Milano a Napoli, e per il costo, 272 miliardi di vecchie lire. «Allora, ingegnere, mi faccia vedere i progetti….» disse Sernesi. «Ecco tutti i disegni, direttore, purtroppo mancano i soldi..» fu la risposta di Cova. In tempo reale, il direttore generale dell'Iri fece due telefonate, alla Comit (dove poteva contare sulla sponda di Mattioli) e alla Banca nazionale del lavoro (guidata da Imbriani Longo, compagno di lotta di Sernesi durante la guerra partigiana), e il maxi-finanziamento fu immediatamente concesso. L'avventura dell'Autostrada del Sole poteva iniziare.
FANFANI E L'UNITÀ
Una vasta letteratura ha ricondotto la realizzazione in tempi record dell'Autosole, otto anni di lavori e consegna finale dell'intera opera con tre mesi di anticipo, alle pressioni della Fiat, che aveva bisogno di quella lunga striscia di asfalto per vendere le sue macchine a tutti gli italiani. È una verità del tutto parziale. Certo: la Fiat aveva interesse a un'infrastruttura che consentiva di attraversare l'Italia, con un'automobile di media cilindrata, in poco più di sette ore, ma in realtà l'Autostrada del Sole fu un'opera da sistema Paese. Un'infrastruttura di straordinario valore, anche sul piano tecnologico, che rovesciava in un'opera pubblica due obiettivi strategici, uno di natura politica ed economica, e l'altro di coesione sociale. Attorno a quella autostrada, insomma, si ragionava in grande. Tanto che nessun presidente del Consiglio si sottrasse, in quegli anni, al taglio di un nastro per l'inaugurazione di un tratto del percorso, non come gesto simbolico e propagandistico, ma come affermazione di un primato della politica, e dunque di un disegno che non finiva nella spinta a una nuova mobilità nel Paese. Ad Amintore Fanfani che scolpì il senso più profondo dell'opera (« Adesso l'Italia non è più divisa in due»), si abbinava il pensiero lungo di Aldo Moro («l' Autostrada del Sole è il simbolo di un'Italia moderna e civile»): i due cavalli di razza della Dc, che in quegli anni si scambiavano il testimone della guida del governo, altro non esprimevano che l'ambizione di rappresentare un Paese ormai uscito dal buio del dopoguerra e lanciato su un'autostrada, proprio come l'Autosole, del benessere diffuso e collettivo.
Così l'Autostrada del Sole non fu solo un capolavoro di ingegneria civile, apprezzato in tutto il mondo (con 400 ponti e 38 gallerie), pagato con il duro prezzo di 15 milioni di giornate lavorative e di 74 morti sui cantieri. Fu anche una spinta keynesiana per tenere alto il ritmo della crescita economica, attraverso la leva degli investimenti pubblici, e per dare agli italiani un simbolo dei traguardi raggiunti.
VESPA E NUTELLA
Nel 1964 avevamo già cambiato pelle e portafoglio, scoprendo una gamma di status symbol del benessere, dall'auto al frigorifero, dalla Vespa alla cucina in formica. E avevamo modificato radicalmente costumi e stili di vita: un Paese di ex contadini, proprio nel 1964 scoprì, in massa, l'erotismo del topless, il piacere del vasetto di Nutella, l'energia di un Valerio Berruti che diventata l'uomo più veloce del mondo. Tutto, allora, profumava di cambiamento. Non a caso già alcuni mesi prima dell'inaugurazione dell'Autosole, 4 ottobre 1964, San Francesco, erano stati aperti il traforo del Gran San Bernardo e il Centro siderurgico di Taranto, mentre i milanesi avevano iniziato a circolare nella loro metropolitana. Non si tratta di pure coincidenze del calendario, ma di un clima nel quale il Paese, pure con le sue contraddizioni, era immerso. Il futuro non spaventava, anzi. La fiducia faceva parte del nostro abito mentale. Lo sviluppo era una meta che avevamo la forza e la voglia di spostare sempre più avanti. E innanzitutto la classe dirigente nel suo complesso era all'altezza di grandi ambizioni, non solo di un'Autostrada che diede luce alla metamorfosi di un popolo.
Antonio Galdo
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