Mafia a Latina, intorno alla squadra di calcio affari loschi e prove di forza

Pasquale Maietta
di Giovanni Del Giaccio
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Venerdì 19 Febbraio 2021, 05:02 - Ultimo aggiornamento: 08:51

Quanto è costato avere una squadra di calcio in serie B? Il sogno di sfiorare la promozione in A, la presenza nei luoghi del pallone che conta, le attenzioni mediatiche nazionali. Quanto? Non in termini economici, ma di smacco alla città.
Sono tanti i lati dai quali guardare la vicenda del Latina Calcio targato Pasquale Maietta-Paola Cavicchi. Il primo, più genuino, è quello dell'anima sognante dei tifosi. L'unico che è possibile salvare di quella esperienza dalla quale emerge - ancora oggi - come fosse ben altro rispetto a un'impresa sportiva. «Allo stadio comandiamo noi, ste cose si pagano» - è scritto nell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Reset. A un tifoso Francesco Viola e i fratelli Travali chiedono 12.000 euro. Si era fatto autografare la maglia dai giocatori senza il loro permesso. I primi guai di Viola, pensate, iniziarono proprio negli ambienti ultras. Come quelli di altri citati in questi anni nelle carte di varie inchieste, fino all'ultima.

«Così la mafia autoctona ha messo le mani sulla città»

A chi fosse in mano quel Latina calcio era noto. Chiunque sia entrato dalla Tribuna autorità in occasione della finale del 17 giugno 2013 contro il Pisa ha trovato ad accoglierlo Cha Cha Di Silvio. Lui smistava giornalisti, autorità, avvocati.... Lui - negli anni successivi - era in rapporti con giocatori, tecnici, usava la sala massaggi, seguiva come un'ombra Maietta che avrebbe portato (lo racconta il pentito Agostino Riccardo) 5 milioni in contanti per fare il mercato dei giocatori, a Milano.
Quella promozione fece esultare in molti, ma divenne anche occasione per lavori accelerati e con procedure a dir poco singolari, come emerso dall'operazione Olimpia. La tribuna senza collaudo, i condizionatori d'aria spostati da un edificio a un altro, gli affidamenti ai soliti noti, i lavori all'ex Fulgorcavi, i canoni mai pagati al Comune per l'impianto. Solo una parte di quello che accadeva intorno al Latina calcio, successivamente fallito miseramente, usato secondo l'inchiesta Arpalo come lavatrice per riciclare i soldi dello stesso presidente - nel frattempo divenuto deputato di Fratelli d'Italia - e autore di una interrogazione (presentata e ritirata) contro l'allora questore Giuseppe De Matteis.

Quel giro di denaro - portato in Svizzera e tornato sui conti di società riconducibili al presidente - ha sullo sfondo anche vicende gravi come un paio di suicidi mai chiariti. Quello dell'avvocato Paolo Censi, ad esempio, ma anche di un tifoso che credendo al sogno della squadra nerazzurra da elettrauto era stato trasformato in rappresentante di diverse società dell'orbita del presidente commercialista e parlamentare. Tutto ruotava intorno ai trasporti, affari d'oro all'ombra del pallone.


Si sentivano invincibili, evidentemente, è un po' l'atteggiamento mutuato proprio dalla curva, dagli ultras nei quali erano cresciuti Viola e gli altri. La stessa tifoseria che secondo il pentito Agostino Riccardo era stata coinvolta per portare voti a nomi eccellenti della politica pontina: «Tutti hanno pagato fior di soldi per garantirsi visibilità e comprare voti ed erano perfettamente al corrente dei metodi che utilizzavamo». Personaggi che hanno sempre smentito un legame con la curva e con quelle dichiarazioni che però la dicono lunga su cosa muovesse quel Latina calcio. Quali interessi - tutt'altro che sportivi - ci fossero. E quanto sia costato al nome della città, al tessuto sano che ancora esiste (anche se dall'ordinanza Reset emergono altri imprenditori vittime silenti delle estorsioni) partecipare alla serie B e sognare - per meno di un'ora, tanto durò il vantaggio contro il Cesena il 18 giugno del 2014 - di sfidare la Juventus e le altre. In A il Latina non ci andò, navigò per altri tre anni in B. Bastati a fallire e far emergere tutto il marcio che c'era. Un costo enorme.
Giovanni Del Giaccio
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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