Mafia a Latina, imprenditori in silenzio davanti ai «Padroni della città»

Costantino Di Silvio detto Cha Cha
di Elena Ganelli
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Venerdì 19 Febbraio 2021, 05:02 - Ultimo aggiornamento: 09:19

«A Latina gli zingari hanno creato negli anni un meccanismo di terrore diffuso e gli esercenti per non avere problemi consentivano loro di fare cose non permesse ad altri tra cui non pagare la merce». Ad esprimersi in questi termini non sono gli investigatori ma una delle tante vittime del clan Cha Cha Di Silvio-Travali che spiega la ragione per la quale nessuna delle parti offese dei 18 episodi di estorsione contenuti nell'ordinanza dell'operazione Reset' ha mai denunciato le angherie che da anni subiva. Che sono venute alla luce soltanto perché a raccontarle agli investigatori sono stati i pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Nel lungo elenco ci sono i titolari di attività commerciali ma anche professionisti e imprenditori che non sono stati in grado di sganciarsi dalla morsa del gruppo. Una delle storie rimaste sconosciute fino a ieri ha come protagonista un avvocato di Latina che nel 2013 ha avuto in prestito da Angelo Morelli di circa 10mila euro del quale si era interessato anche Francesco Viola ma ha dovuto restituire, tra una minaccia e l'altra, 30mila euro tanto da essersi rivolto, racconta nelle sue dichiarazioni il pentito Agostino Riccardo, «a Gianluca Tuma per ottenere la sua protezione conoscendo i rapporti di quest'ultimo con Viola e Morelli».

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Il professionista però non ha voluto ammettere di avere ceduto alle richieste estorsive e si è limitato a spiegare che «erano persone poco raccomandabili e era meglio chiudere la vicenda il prima possibile evitando di far perdere loro la pazienza».

E nell'elenco delle vittime c'è anche un altro avvocato di Latina dal quale Cha Cha si presenta con fare minaccioso chiedendo un prestito di 30mila euro, richiesta alla quale l'interlocutore risponde negativamente scatenando l'ira di Di Silvio. «Non me fa arrabià, famo 20mila e non me fa' perde la brocca» sbotta tanto che il professionista, terrorizzato, si procura il denaro che non rivedrà mai più. «Ho ceduto perché temevo ritorsioni dato il suo noto peso criminale» si è poi giustificato. A cadere nelle mani del clan anche il titolare di un caseificio di Cisterna dal quale si sono presentati Travali e Riccardo per esigere il pagamento di un debito che l'imprenditore aveva con un caseificio di Fondi: volevano 30mila euro e gli dicevano «di fare il bravo, che erano persone che in genere sparavano per recuperare queste somme ma che nel suo caso non lo avrebbero fatto sapendo che era una brava persona».

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L'imprenditore in questione non ha mai ammesso con gli investigatori di avere pagato. C'è anche la storia del titolare di una attività commerciale del capoluogo pontino al quale nel 2010 Viola ha prestato 4mila euro con l'accordo che il mese successivo ne avrebbe restituiti 6mila, applicando interessi pari al 50%. Ma l'uomo non è riuscito a pagare e versando rate settimanali da 200 euro ciascuna si è trascinato fino al 2015, data alla quale aveva restituito circa 50mila euro, somma dieci volte superiore a quella ricevuta in prestito. E anche in questo caso la versione della vittima è stata quella della paura. «Prima dell'indagine Don't Touch ha raccontato un delle vittime non mi fidavo della polizia e fino a quel momento loro erano percepiti come i padroni della città».
Elena Ganelli
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