Processo Cetrone, parla Lallà Di Silvio: «Riccardo usava il nome del clan per mettere paura»

Processo Cetrone, parla Lallà Di Silvio: «Riccardo usava il nome del clan per mettere paura»
di Elena Ganelli
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Sabato 7 Maggio 2022, 10:49

Agostino Riccardo e Renato Pugliese li vedevo davanti casa perché erano amici di mio figlio Gianluca, passavano del tempo insieme lì nella zona ma non li ho mai conosciuti bene: Però andavano in giro spacciandosi per zingari per spaventare perché la gente dice che gli zingari sono cattivi, sparano e bruciano.

A parlare in video collegamento dal carcere dove è detenuto Armando Lallà Di Silvio nell'udienza del processo dove è imputato insieme all'ex consigliera regionale Gina Cetrone, all'ex marito dei lei Umberto Pagliaroli e al figlio Gianluca per reati che vanno dall'estorsione all'illecita concorrenza, la violenza privata, oltre ad una serie di illeciti nell'ambito della campagna elettorale per le amministrative di Terracina del 2016. Il tutto aggravato dal metodo mafioso. Il capo clan di Campo Boario risponde alle domande del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Corrado Fasanelli e nega qualsia rapporto con i due collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni hanno dato vita all'indagine denominata Scheggia. «Non ho mai avuto a che fare con loro racconta - frequentavano mio figlio ma loro andavano in giro dicendo che erano zingari anche se non lo sono. Addirittura Riccardo di faceva chiamare Agostino Di Silvio, strumentalizzava questo nome per mettere paura perché gli zingari sparano, bruciano, almeno così dicono le persone. E poi ho anche saputo ha continuato che chiedeva soldi a nome dei Di Silvio, li ha chiesti anche a qualche avvocato davanti ai bar del Tribunale. Ma io non ho mai ricevuto soldi da lui: mi ha fatto diventare un capo senza che io ne sapessi nulla».


Poi sottolinea di avere saputo chi erano Gina Cetrone e Umberto Pagliaroli soltanto quando ha ricevuto l'ordinanza di custodia cautelare dell'inchiesta. «Io non mi interesso di politica e non vado a votare da trenta anni - ha detto - non so chi sono e non sono neppure mai stato a Terracina.

Mai fatta attività di attacchinaggio ha aggiunto sono un povero zingaro e mi guadagnavo da vivere lavorando in un autolavaggio». Di Silvio nega anche di avere avuto contatti telefonici sia con il pentito che con Cetrone e Pagliaroli, contatti dei quali aveva invece parlato poco prima il dirigente della Squadra mobile Giuseppe Pontecorvo ricostruendo l'avvio delle indagini nate proprio da una intercettazione telefonica dell'utenza di Riccardo che era sotto osservazione da parte delle forze dell'ordine.



Nelle centinaia di contatti telefonici emergono telefonate e anche messaggi in chat tra Pagliaroli e l'ex componente del gruppo di Campo Boario tra cui una foto della candidata Gina Cetrone e una telefonata di Riccardo a Lallà che gli passa il marito della Cetrone. «Non ho mai diviso con i miei figli i loro guadagni ha spiegato ancora Di Silvio - quello che facevano non lo so, sono grandi, vivevano per conto loro con le mogli e i figli e non mi hanno mai dato soldi né ne ho ricevuti da Riccardo. Caso mai gli ho dato io 5 euro per comprarsi le sigarette». Si torna in aula il 17 maggio quando l'accusa ascolterà gli altri imputati prima di ascoltare l'ex parlamentare Pasquale Maietta la cui testimonianza è stata richiesta dalla difesa della Cetrone.
Elena Ganelli
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