Clan Di Silvio, al processo "Alba pontina" chiesti 100 anni di carcere

Clan Di Silvio, al processo "Alba pontina" chiesti 100 anni di carcere
di Elena Ganelli
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Mercoledì 26 Maggio 2021, 05:01 - Ultimo aggiornamento: 09:31

 Condanne per 100 anni di carcere. Queste le richieste formulate dai pubblici ministeri Claudio De Lazzaro e Luigia Spinelli al termine di una lunghissima e dettagliata requisitoria del processo Alba Pontina, giunto ormai alle battute finali.


Poco prima delle 18.30 i due rappresentati dell'accusa hanno chiuso l'udienza iniziata la mattina con le richieste di condanna per gli otto imputati: 25 anni di reclusione per Armando Lallà Di Silvio, considerato capo del clan di Campo Boario; 15 anni per la moglie Sabina De Rosa; 11 anni per Francesca De Rosa e altrettanti per Genoveffa Di Silvio e Angela Di Silvio; sei anni ciascuno per Giulia Di Silvio e Tiziano Cesari; 15 anni per Federico Arcieri. A prendere la parola per primo davanti alla prima sezione penale presieduta da Gian Luca Soana, è stato De Lazzaro nella cui requisitoria, durata oltre quattro ore, c'è tutta la storia criminale dei Di Silvio degli ultimi dieci anni. Un viaggio attraverso estorsioni, usura, spaccio e intimidazioni di ogni genere che hanno rappresentato l'attività del clan fino a quando queste non sono state scardinate dalle inchieste della Squadra mobile e della Procura che li ha portati in aula chiamandoli a rispondere a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di droga e alle estorsioni ai danni di commercianti, avvocati e commercialisti. De Lazzaro ha ricordato una dopo l'altra le estorsioni messe a segno dal gruppo partendo da quella ai danni del ristoratore di Sermoneta - che è già costata ad alcuni imputati una condanna con tanto di aggravante per il vincolo associativo - passando per il tentativo di suicidio in carcere di Roberto Toselli per un debito che non riusciva a pagare, per le intimidazioni giunte all'interno della casa circondariale e per la guerra tra il clan Di Silvio e il gruppo Travali.

E la narrazione è andata avanti soffermandosi sugli anni di spavalderie ai danni di assuntori di droga ma anche commercianti e professionisti e sulla campagna elettorale al servizio di Roberto Bergamo. «Pagano più o meno tutti ha ricordato il pm e le estorsioni ai danni di avvocati sono la dimostrazione dell'omertà: tutti hanno paura e quando gli vengono chiesti soldi pagano e non denunciano, sono terrorizzati. E' questo il metodo mafioso». Ad aprire le porte di quel mondo hanno contribuito in maniera determinante i collaboratori Renato Pugliese e Agostino Riccardo fornendo agli investigatori dettagli sulle modalità con le quali l'organizzazione operava. La requisitoria punta a dimostrare che «Armando, anche se non andava in giro a chiedere denaro, era informato su ogni singolo fatto, su ogni estorsione, sulla vendita di droga. Dalla casa di Campo Boario ha spiegato De Lazzaro interveniva personalmente, faceva da paciere, aveva un ruolo ben chiaro nell'organizzazione, quello di soggetto al di sopra delle parti. Era lui a scusarsi se veniva commesso qualche errore, a intervenire quando era necessario tenere a bada i figli». Nel pomeriggio la parola è passata a Luigia Spinelli che ha invece ricostruito i singoli episodi. Si torna in aula il 22 giugno cone le parti civili, poi toccherà al collegio difensivo composto dagli avvocati Angelo Palmieri, Luca Giudetti, Stefano Iucci, Oreste Palmieri, Emanuele Farelli e Luigi Toppi.
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