Mafia pontina, la guerra dei manifesti risolta con il metodo Di Silvio

Mafia pontina, la guerra dei manifesti risolta con il metodo Di Silvio
di Laura Pesino
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Sabato 17 Luglio 2021, 05:02 - Ultimo aggiornamento: 10:53

Circa 30mila manifesti da attaccare in tutta la città. Latina doveva essere tappezzata di manifesti elettorali di Matteo Adinolfi, capolista di Noi con Salvini alle amministrative del 2016. Oltre alla compravendita dei voti, l'accordo con il clan Di Silvio voluto dall'imprenditore dei rifiuti Raffaele Del Prete e curato anche dal suo segretario Emanuele Forzan prevedeva anche l'attacchinaggio.

A riferire alcuni particolari dello scambio è stato anche il collaboratore di giustizia Renato Pugliese, le cui dichiarazioni vengono riportate nelle pagine della nuova ordinanza che ha portato ad indagare anche lo stesso eurodeputato Matteo Adinolfi: «Prendevo mille manifesti al giorno da affiggere e talvolta li lasciavo nella stalla dei Di Silvio non potendo portarmeli tutti dietro». Il messaggio era chiaro: oltre ad attaccare i manifesti il clan doveva garantire anche una certa visibilità del candidato in tutta la città, evitando quindi che quei cartelloni venissero coperti dai concorrenti. «Su Latina abbiamo avuto problemi con mio cugino Sabatino Morelli che curava la campagna per Tripodi ha dichiarato Pugliese in uno dei colloqui con gli investigatori In una occasione Sicignano stava attaccando manifesti di Noi con Salvini ai palazzi bianchi vicino al cimitero. Si è presentato Sabatino Morelli e gli disse di andarsene perché lì si attacca solo per Tripodi ed era territorio suo». È l'inizio di una guerra dei manifesti elettorali, poi risolta e gestita con il metodo Di Silvio. Ed è lo stesso capoclan Armando a intervenire. «Armando Di Silvio ha chiamato direttamente Giancarlo Alessandrini che curava la campagna per Tripodi insieme a Morelli racconta Pugliese e ci siamo visti allo stadio. Armando ha detto di riferire a Sabatino che se fosse successo un'altra volta i suoi figli sarebbero andati a sparargli dentro casa. Morelli pensava che nella sua zona nessuno potesse dirgli niente. Poi la cosa l'ha risolta Armando Di Silvio». Per il gip del tribunale di Roma Bernadette Nicotra, che ha firmato l'ordinanza dei due arresti di Del Prete e Forzan, le dichiarazioni di Agostino Riccardo, referente per la politica della famiglia rom, e quelle di Pugliese sono complementari. Mentre il primo sottolinea la consapevolezza da parte di Del Prete che affidarsi a Di Silvio è una garanzia, «Renato Pugliese riferendo del contrasto insorto con Morelli, dà conferma delle modalità mafiose con cui veniva condotta l'attività di affissione». Elementi questi che per il giudice rafforzano la tesi accusatoria dello scambio elettorale politico con modalità mafiosa.
La.Pe.
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