E' morto lo scorso 15 febbraio all'età 32 anni, un malore improvviso che lo ha stroncato mentre era rinchiuso nel carcere di alta sicurezza di Agrigento. Samuele Di Silvio, giovane rampollo della famiglia e figlio del capo clan Armando Lallà Di Silvio, doveva scontare una condanna definitiva a 11 anni e 10 mesi di reclusione nell'ambito del processo legato all'operazione Alba Pontina.
Una morte che aveva rapidamente fatto il giro della città di Latina e che dalle autorità del capoluogo siciliano era stata archiviata appunto come malore, tanto che nei giorni immediatamente successivi al decesso la salma era stata trasferita a Latina per essere tumulata al cimitero.
Nessun funerale solenne, come disposto dalla questura per ragioni di sicurezza, ma una cerimonia in forma ridotta e con la sola presenza dei parenti più stretti.
A due mesi dalla morte del giovane esponente del clan e dalla sua sepoltura però compaiono alcune ombre che hanno portato l'autorità giudiziaria a prendere decisioni diverse. La procura di Agrigento ha conferito infatti l'incarico a tre esperti, Antonio Oliva, medico legale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, alla professoressa Sabina Strano Rossi, tossicologa presso la medesima università, e al medico legale catanese Giuseppe Ragazzi l'incarico di effettuare l'accertamento autoptico sul corpo di Samuele Di Silvio.
Un'operazione che renderà dunque necessaria l'estumulazione della salma che si trova nel cimitero del capoluogo pontino.
L'operazione Alba Pontina, coordinata dalla Dda di Roma, aveva portato alla luce il controllo radicale del territorio e l'egemonia incontrastata del clan: estorsioni, minacce e intimidazioni, spaccio di stupefacenti in diverse piazze cittadine. Il cuore del sistema dei Di Silvio era proprio Lallà, il padre di Samuele, che gestiva gli affari della famiglia insieme a un gruppo ristretto di persone composto da Agostino Riccardo e Renato Pugliese, entrambi poi diventati collaboratori, e dai figli Ferdinando, Gianluca e appunto Samuele Di Silvio.
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