Intervista

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Lunedì 13 Ottobre 2014, 06:11
Scampato alle celebrazioni, gli 80 anni (compiuti meno di un mese fa) erano un appuntamento di quelli inderogabili, Gino Paoli ha ripreso il suo viaggio in musica. Un viaggio lunghissimo e che gli ha fatto ritrovare da qualche tempo energia, voglia, stimoli, piacere in una combinazione intima e del tutto amichevole: «Il fatto – racconta – è che mi sono accorto che facendo jazz c'era un circuito di pubblico di livello, più adatto a me». La combinazione giusta è quella con Danilo Rea, pianista squisito, talento intuitivo, uno che appena mette le mani sulla tastiera è pronto a viaggiare per qualsiasi lido, che lo accompagna con accorta disciplina pronto a sorprendenti scorribande solistiche in un libero gioco della memoria. «Danilo ha una sensibilità simmetrica con me» conferma Gino, con assoluta convinzione, visto che l'incontro è stato così efficace da fargli ritrovare, per dirla con le sue parole, il gusto un po' amaro delle cose perdute. La storia è cominciata già da qualche anno, prima in una formazione allargata (un quintetto dove c'erano Roberto Gatto, Flavio Boltro, Rosario Bonaccorso) poi si è perfezionata e asciugata nella forma del duo, segnato da una serie ormai infinita di concerti («le richieste continuano ad arrivare», commenta con malcelato orgoglio) e passata anche attraverso un paio di dischi riusciti ed eleganti e perfino dai lusighieri riscontri numerici. Dischi in cui, come nei concerti, Gino si riscopre crooner e dove il materiale a disposizione viene sollecitato in primis dal suo formidabile songbook, ma poi sconfina nel catalogo prezioso dei suoi amici cantautori (da Bindi a Lauzi, da De Andrè a Endrigo), attraversa classici americani, approda con convinzione alla canzone napoletana.
L'Auditorium romano è uno dei suoi luoghi di elezione, visto che spesso qui sono spesso ospiti e già sono pronti all'ennesimo ritorno fissato per giovedì 23 per una sorta di festa-concerto dedicata agli 80 anni di Gino: «Sono uno di quelli che possono dire di aver già letto il proprio necrologio. Nel '63 quando mi sparai al cuore, l'Unità uscì con il mio coccodrillo anche se non ero morto. Dopo averlo letto ho deciso che non ne voglio. Al massimo sulla lapide la scritta ci sarà la scritta “Un grandissimo figlio di puttana”».
M.Mol.