«Kobane non vuole l'aiuto dei turchi»

«Kobane non vuole l'aiuto dei turchi»
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Domenica 12 Ottobre 2014, 06:24
IL REPORTAGE
SURUC (CONFINE SIRIANO-TURCO) La folla si accalca davanti all'ospedale di Suruc, dieci chilometri da Kobane. Ogni giorno o quasi, dall'obitorio dell'ospedale, partono i cortei funebri. Nel cimitero le fosse sono già state scavate. Un uomo, aiutato da due ragazzi, porta casse di legno grezzo sistemandole, aperte, nelle buche. Dal fondo della strada parte il corteo. Centinaia di persone, tanti giovani e giovanissimi, preceduti da un'avanguardia che sventola bandiere dell'Ypg, del Pyd, il partito curdo siriano, e di Ocalan, il leader curdo del Pkk detenuto dal 1999 nelle carceri turche.
LA CERIMONIA

Un uomo urla in un microfono che nessuno deve piangere, nessuno. È una cerimonia in onore di chi è caduto per la libertà di tutti, per Kobane, per quella che loro chiamano “rivoluzione Rojava”, dal nome dei tre cantoni siriani che dal 2012 vivono in una sorta di autoamministrazione. Lontani da Assad e lontani dall'Isis. Ma lontani anche da Ankara. Erol Dora, cristiano e curdo, sa bene cosa sia essere una minoranza nel proprio Paese. È infatti l'unico deputato cristiano presente nel parlamento turco. «Come ben sapete la coalizione internazionale ha identificato l'Isis come una organizzazione terroristica e questa coalizione è guidata dagli Stati Uniti. Hanno attaccato l'Isis, è vero, ma abbiamo una critica da fare all'America: non l'hanno fatto in tempo, lo sapevano tutti che sarebbero arrivati in città, potevano farlo prima quando ancora si trovavano a distanza. Sono stati fatti troppo tardi».
«NON SIAMO UNA MINACCIA»

La paura del governo turco sembra essere motivata dal mai morto nazionalismo curdo. Dopo il Kurdistan iracheno, ora il Rojava siriano. Ma il parlamentare ci tiene a precisare che «il cantone del Rojava non è una formazione statale, ma una autoamministrazione regionale che sostiene l'unità della Siria. La stessa cosa avviene nei cantoni curdi di Afrin e in quello di Jeziira, dove sono nate delle forme di democrazia basate sull'uguaglianza, senza distinzioni religiose o etniche. Non rappresentiamo perciò una minaccia per nessuno e non attentiamo a nessuna integrità statuale, che sia siriana o turca. Come partito politico non accettiamo nessun intervento militare turco nel cantone di Kobane, né tantomeno la creazione di una zona cuscinetto tra Siria e Turchia. Se il governo turco vuole veramente aiutare Kobane può aprire la frontiera e favorire la creazione di un corridoio umanitario, così che l'Ypg possa mandare aiuti anche dagli altri cantoni curdi in Siria, ma i tank turchi non devono mettere piede a Kobane. Questo no».
UN CONFINE ARTIFICIALE

La discussione intorno al deputato si fa animata, tutti vogliono parlare. «La Turchia chiude gli occhi davanti alla tragedia curda di Kobane, questo cos'è se non un sostegno diretto all'Isis?», dice uno dei presenti ai funerali. Suo fratello sta combattendo dall'altra parte della frontiera. «Il confine che vedete è artificale, non è quello reale - conclude Erol Dora - perché i curdi di Suruc e i curdi di Kobane così come quelli di Dyarbakir sono la stessa cosa, sono parenti, fratelli, amici. C'è una totale empatia tra i curdi da questa parte della frontiera e i curdi dall'altra. Ora i curdi turchi che vivono qui vedono i loro parenti sotto i bombardamenti e circondati. Che cosa dovrebbero fare se non andare ad aiutarli?»
Cristiano Tinazzi
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