Alle porte della città curda assediata varchi aperti con i camion bomba

Alle porte della città curda assediata varchi aperti con i camion bomba
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Giovedì 9 Ottobre 2014, 05:50
IL REPORTAGE
CONFINE SIRIA-TURCHIA La strada che porta a Mursitpinar è chiusa poco prima dell'entrata in paese. Kobane, Ayn al-Arab per gli arabi, è a solo un chilometro, dall'altra parte della frontiera. I militari turchi non fanno passare nessuno. Un gruppo di curdi assiste impotente, da une delle colline che sovrastano l'abitato, quello che avviene nella città assediata. Poco più in là, una decina di carri armati turchi è disposta in semicerchio su una altura. Curdi da Dyarbakir, Suruc, Gaziantep, Urfa e tante altre città arrivano ogni giorno per inscenare qualche protesta o solamente per testimoniare la loro vicinanza ai guerriglieri del Pkk e dell'Ypg che da venticinque giorni continuano, senza sosta, senza riposo, a fronteggiare sul terreno i fanatici estremisti dello Stato Islamico. Ma chiunque provi ad avvicinarsi un po' troppo, viene mandato indietro senza troppi complimenti. Non sono inusuali scontri tra manifestanti e militari.
IL BLOCCO A SURUC

A Suruc, poco distante, il centro città è invaso da un centinaio di agenti in assetto antisommossa, blindati e militari. «Dovete andarvene da qui - grida un militare da un blindato – possono cadere dei colpi di mortaio. Non potete stare in quest'area». La gente si sposta, sotto un sole cocente, poco più in là, dall'altra parte della strada. Per terra è facile inciampare in qualche candelotto lacrimogeno esausto. Made in Brazil, c'è scritto sopra. La globalizzazione è anche questo. Nuvole di terra polverosa si alzano al passare delle autoblindo mimetiche di Ankara sulle strade sterrate. Sembra una mattinata relativamente tranquilla: qualche scambio di arma da fuoco, sporadiche raffiche di Ak47. Ma è poco dopo le dieci del mattino che incomincia la battaglia. Spari, contraerea, colpi di mortaio. Sempre più serrati, in una danza di morte sempre più veloce che culmina in una forte esplosione. Una colonna di fumo nero si alza verso il cielo. Forse un attacco con camion bomba portato contro le difese curde, una tecnica utilizzata decine di altre volte dall'Isis per conquistare le basi militari del regime.
Gli assediati rispondono colpo su colpo. Gli scoppi e le deflagrazioni arrivano dal centro città e da est. La bandiera nera del Califfato svetta su un edificio e su una collina. Il rumore di un caccia ad alta quota attraversa il cielo. Una detonazione seguita da uno sbuffo di fumo bianco che si allarga piano piano all'orizzonte. «Ho i miei due figli che sono andati a combattere con il Pkk. Non so dove siano, non ho notizie di loro da giorni, se sono là o no», dice un'anziana donna.
GLI ALLEATI SIRIANI

Quella che sta avvenendo dall'altra parte della frontiera è una battaglia senza esclusione di colpi, casa per casa, strada per strada, fino all'ultimo combattente. Altre sorde esplosioni, altre colonne di fumo nero. Forse carri armati e blindati colpiti dai caccia americani. A Kobane i curdi non sono i soli a combattere. Con loro una brigata di circa 250 uomini del Free Syrian Army, la Tajammu' alwaiyya fjr al-hurriyya, “Unione delle Brigate Alba della Libertà”, riusciti ad entrare in città poco prima che i combattenti del presunto califfo Abu Bakr Al Baghdadi la cingessero d'assedio.
La lunga striscia d'asfalto grigio, che taglia in due la piana interrompendo il giallo monocorde della terra secca, viene percorsa quasi continuamente da ambulanze che a sirene spiegate si allontanano dall'inferno di Kobane. Nel corso della giornata almeno sei bombardamenti aerei tentano di piegare l'avanzata dei miliziani dello Stato Islamico. Ma non bastano. Altri rinforzi sarebbero giunti da Raqqa. Kobane è alla sua quarta settimana di resistenza contro nemici implacabili che non hanno nessuna paura della morte.
Cristiano Tinazzi
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